È morto il 31 ottobre scorso Giampaolo Baschetti, classe 1920, 104 anni appena compiuti di cui 70 di matrimonio con l’adorata moglie Marcella. Una vita straordinaria la sua, ma vissuta con semplicità, passata anche attraverso la dolorosa esperienza dei campi di concentramento.

Dall’Università all’esercito di leva

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Giampaolo Baschetti nell’ottobre del 1942

Poco più che ventenne venne strappato agli studi universitari di Chimica perché arruolato nell’esercito di leva e, con l’8 settembre, arrestato e spedito nei campi di prigionia per gli Imi, gli internati militari italiani. Fu lo stesso Baschetti ha raccontare quell’esperienza nel capitolo Azione Cattolica nei lager del volume Dai fronti di guerra di Arturo Frontali, venuto a mancare anche lui un mese fa. La cartolina arrivò nel luglio del 1942 e Baschetti venne destinato prima a Moncalieri, poi a Reggio Emilia. Nella notte fra l’8 e il 9 settembre 1943, la caserma fu circondata dai nazisti, che con un panzer sfondarono il portone e rastrellarono i soldati italiani. Baschetti venne stipato insieme a una settantina di uomini in un carro bestiame, dove restò per quindici giorni prima di arrivare in Polonia. Per cibo una scatoletta di carne salata «che faceva venire una gran sete e un pane nero» aveva raccontato.

Due anni di prigionia

Diversi furono i trasferimenti che subì in oltre due anni di prigionia. Fu deportato prima in Polonia a Przemysl dove restò dal settembre ‘43 al gennaio ‘44. Da subito patì freddo e fame, che portarono il suo corpo a un progressivo deperimento. Un solo rancio caldo al giorno, una zuppa con rape e bietole, al mattino un thè lungo amaro e la sera «la stessa brodaglia, ma fredda» come lui stesso aveva più volte ricordato. In tutto erano circa tremila gli internati nel campo: un carretto portava via i morti ogni mattina e rientrava più tardi con un carico di pane.

La Giac e le messe clandestine

In Polonia conobbe don Mario Besnate di Milano, che era stato direttore dell’oratorio salesiano faentino fino al 1939. Insieme diedero vita ad una sezione della Giac, la Gioventù italiana di Azione Cattolica con riunioni rigorosamente clandestine. «Durante gli anni di prigionia – racconta la figlia Maria Giovanna – fondamentali per mio padre sono stati diversi incontri. Il primo con un tenente sacerdote, che gli regalò una corona del rosario che ha conservato per tutta la vita. Poi quello cruciale con don Mario Besnate, amicizia continuata anche dopo l’esperienza della prigionia. Don Mario è stato una figura molto presente nella nostra famiglia». Insieme avevano raccolto i libri dei prigionieri, creato una piccola biblioteca nel campo e organizzato la consegna e il ritiro dei volumi. Con l’amico Renato Sclarandi aveva organizzato il calendario delle messe clandestine « cambiavamo sempre baracca e orario per non farci sorprendere» aveva ricordato anni fa. «Oltre ad organizzare a rischio della propria vita le messe – racconta Maria Giovanna – mio padre e l’amico Renato raccoglievano le briciole di pane con cui veniva celebrata l’Eucaristia. Se arrivava un soldato tedesco dovevano velocemente far sparire tutto». Con Sclarandi passavano nelle baracche per comunicare giorno e ora della celebrazione. Durante uno di questi spostamenti Sclarandi venne fucilato da un soldato tedesco. A lui venne poi intitolata la sezione clandestina della Giac. Baschetti riuscì anche a stampare un ciclostilato con notizie utili, l’orario dei concertini, l’elenco dei libri della biblioteca, le piccole attività culturali e religiose clandestine che si tenevano nel campo, la parola del cappellano, vignette umoristiche e caricature degli ufficiali tedeschi. Con i suoi compagni riuscì persino a costruire una vietatissima radio a galena, una sorta di rudimentale ricevitore radio. In due anni di prigionia arrivò anche qualche pacco da casa con cibi in scatola e sigarette da utilizzare come merce di scambio per un tozzo di pane. Nel gennaio 1944 Baschetti venne trasferito ad Hammerstein, nell’Alta Slesia fra Stettino e la Polonia: uno dei periodi più difficili, perché non arrivavano notizie della famiglia proprio nel periodo del secondo bombardamento a Faenza. Le razioni di cibo nel campo erano sempre più scarse. «Ricordo com’era difficile la divisione della pagnotta per sei, guai a sbagliare di un millimetro» aveva raccontato. Poi altri due trasferimenti: prima al campo di concentramento di Langwasser, vicino a Norimberga e poi a Meppen, nei pressi del confine con l’Olanda. Fu periodo durissimo: febbre, svenimenti e una brutta pleurite. Venne trasferito prima in infermeria e poi, dopo la liberazione da parte degli americani il 6 aprile, a Fullen, in un ospedale per malati terminali. Venne salvato per miracolo da un medico che gli praticò un pneumotorace con un Forlanini artigianale.

Il rientro a casa e la nuova vita

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Baschetti in montagna con la moglie e la figlia

Il giorno esatto del rientro dal fronte incontrò la futura moglie Marcella: era il settembre 1945. «I miei nonni avevano una tabaccheria in piazza davanti al Duomo – ricorda la figlia -. Mia mamma, sfollata a Sarna, era venuta a Faenza in cerca di lavoro e aveva conosciuto per caso mia nonna, che le offrì il lavoro in tabaccheria. Quando papà rientrò dalla prigionia trovò mamma nel negozio di famiglia. Nacque un’amicizia e poi il fidanzamento, coronato con il matrimonio nel 1953. Mio padre riuscì finalmente a laurearsi. Avrebbe voluto fare il chimico, ma gli venne sconsigliato, dato che era ancora molto debilitato dalla prigionia. Passò invece all’insegnamento. Il preside del Liceo Torricelli gli chiese di andare a fare una supplenza e così si innamorò della scuola». Fu una supplenza breve, a cui seguirono anni di insegnamento prima all’istituto tecnico professionale in corso Garibaldi, e poi alle medie inferiori dove rimase di ruolo alle Lanzoni. «Uno dei pochi casi in cui gli anni di pensione sono stati più di quelli di insegnamento» scherza Giovanna. Baschetti ha lasciato anche una grande eredità di fede ai due figli. «Una fede semplice e genuina – spiega Maria Giovanna – fatta non di prediche, ma di testimonianza viva. Era sempre così sereno quando ci recavamo insieme alla messa domenicale e viveva con grande amore la liturgia, la preghiera e la recita del rosario. Era evidente che il matrimonio dei miei genitori aveva Gesù come fondamento». Giampaolo ha aderito all’Azione Cattolica per oltre 90 anni e ha ricevuto la visita del vescovo Mario a inizio ottobre. «Il vescovo ha trattato mio padre con profondo affetto» ricorda Giovanna, senza sapere che quell’incontro sarebbe stato l’ultimo.