Quando si ha paura o ci si sente in pericolo, l’istinto primario è quello di mettersi in salvo, ognuno per sé. “Si salvi chi può”, come viene urlato nei film. Ma nessuno si salva da solo. Ce lo ha ricordato spesso in questi anni papa Francesco. E nei giorni scorsi l’alluvione ce l’ha ribadito, con tutta la sua forza di fango e frane.

Lo scenario che ci si pone di fronte arrivando a Zattaglia o Traversara, cambia. Le emozioni però sono le stesse dalla pianura alla collina: paura e smarrimento. E il rischio di chiuderci in noi stessi, di vedere solo una parte del problema – la pulizia dei fiumi a monte, la sistemazione di un argine, la costruzione di una barriera difensiva in Borgo – è altissimo e non ci fa cogliere la complessità che sta attorno ai cambiamenti climatici e alla sicurezza idrogeologica.

«Se si spopola la collina, ci sarà ancora più incuria a monte, con disastri peggiori in pianura». Sonia e Giuliano mi hanno raccontato la situazione a Zattaglia dopo l’alluvione. Dal dialogo con loro emerge ancor di più un fatto: tutto l’ambiente è interconnesso e se si vuole mettere in sicurezza il territorio è importante avere uno sguardo integrale che non lascia indietro nessuno. Anche se costa più fatica e la paura ci spinge a trovare invece facili soluzioni.

Faenza non si salva senza Marradi, Brisighella, Modigliana, Zattaglia, Traversara, Cotignola…

Samuele Marchi