Riccardo Ceroni, Schérpa, è un personaggio d’altri tempi. Classe 1940, modiglianese doc, è diventato simbolo dell’alluvione con il video da due milioni di visualizzazioni, nel quale ringrazia i giovani che lo hanno aiutato a ripulire l’orto. Ceroni è un arzillo 84enne, esperto di dialetto modiglianese, che si muove in prevalenza in sella alla sua bicicletta, mangia i prodotti dell’orto che lui stesso coltiva, è un appassionato collezionista di svariati oggetti e libri e di meccanica di precisione. Realizza con le sue mani oggetti in legno e in metallo, avendo lavorato come meccanico in Francia, in Svizzera e Germania, oltre che in un’industria a Modigliana. L’anziano, che a casa sua legge molto e ascolta i dischi con il grammofono, vive solo. Nel suo caratteristico modo di parlare, con cadenza dialettale, dice di amare i giovani e i bambini, perché lui «è un vecchio bambino» dice di sé stesso. Durante l’alluvione del 17 – 19 settembre, l’acqua e il fango hanno raggiunto e sommerso l’orto. È stato aiutato nelle operazioni di ripristino da tanti giovani volontari. Il suo commosso ringraziamento ripreso e postato su Instagram da Andrea Nonni (@dedepillo) ha fatto di lui una star del web e fa centro nel cuore di chi lo ascolta. Lo abbiamo intervistato.

Riccardo, perché la chiamano Schérpa?


Subito dopo la guerra, tra la fine degli anni ’40 e gli inizi del ’50 a Modigliana c’era una grande miseria. Era sparita anche l’ultima filanda, non c’era davvero più niente. Nessuno aveva le scarpe e tutti noi andavamo a scuola scalzi. Mia madre Pina, con grande sacrificio comprò per me da Benzina, un vecchio calzolaio, un paio di scarponi da sciatore di seconda mano al prezzo di 300 lire. Avevano i cinturini, ed erano troppo grandi per me, che avevo solo 12 anni.
Con quegli scarponi usati, tutti ferrati con bollette , che a me sembravano la fine del mondo, ad ogni passo, si sentiva ciak, ciak. Ero l’unico ad avere gli scarponi. Andai dunque a scuola, all’avviamento. Quando arrivai in piazza Pretorio, due miei compagni di scuola mi avevano preceduto ridendo da spaccarsi a metà, e mi aspettavano nel balcone interno. Mi urlarono da lassù: «Ecco arriva scarpazòn!» e da allora il soprannome Scherpa, scarpa, mi è sempre rimasto. Ma io non me la sono presa, sono positivo, perché se non hai le scarpe, non giri mica, mi piace quel soprannome. E poi mi ricorda un enorme gesto di affetto di mia madre, rimasta vedova giovanissima.

Qual è stata la sua esperienza con l’alluvione?

Questa è la terza. Non è il fiume che sbaglia. Il fiume, io lo amo. Il fiume ha inondato tutto. Ha inondato anche me, ma di felicità. Perché è successo? Siamo noi che non siamo capaci di tenere il fiume come si deve: pulito.
Il comune o chi di dovere devono accomodare questo fiume. Altrimenti, come questa alluvione, ne arriveranno altre. Noi siamo in zona temperata, come clima, ma ci stiamo avvicinando ad un clima tropicale. Ogni tre mesi in California succedono dei disastri. E qui succede lo stesso. Allora bisogna che chi di dovere, che è pagato, venga qua con la competenza. Deve essere uno del mestiere che dica bisogna fare questo e dopo averlo detto, va fatto.
Perché fino ad ora, qualsiasi amministrazione comunale che sia, bianca, rossa, verde, gialla, nera di qualsiasi colore, non è stata capace di combinare niente. Fanno solo delle chiacchiere. Io amo il mio fiume.
E sono ancora dietro a lavorare per mettere tutto a posto.

Com’è andata coi giovani che sono venuti ad aiutarla?

Non so nemmeno come si chiamano. I giovani sono venuti a darmi una mano, anzi una «foresta di mani». Voglio loro bene, un gran bene, un mondo di bene. Mi hanno dato felicità perché hanno espresso verso di me amore.

Cosa rappresenta per lei la natura?

La natura mi accompagna, fa parte della mia vita, è di più: è la compagna della mia vita. Sono sempre immerso nella natura: quando sono nell’orto, sorrido alla natura, le parlo. Mi alzo la mattina, vengo nell’orto e me la passo, poi torno a casa per cucinare e mangiare quello che coltivo e torno nell’orto fino a quando fa buio, è il mio divertimento.

La passione per gli oggetti che colleziona, a quando risale?

La mia passione per gli oggetti in legno e per la meccanica risale a quando ero ancora nella pancia di mia mamma. Ancora nemmeno camminavo e mia mamma mi diceva che ero nato con la passione di sperimentare e provare continuamente. Spero che questa passione mi accompagni finché non andrò nell’altro mondo.

E per il futuro?

I ragazzi e i bambini delle scuole mi vogliono conoscere. A me non sembra vero! Con quelli della scuola la prossima settimana ci dobbiamo mettere d’accordo per quando andare a parlare. Per me è un piacere perché questi ragazzi e bambini li vedo tutti come figli miei, anche se non siamo parenti. Gli voglio bene ancora prima di vederli. La vecchiaia è solo il vestito, ma il vestito non dice niente. Io vivo bene, ma ho già vissuto a sufficienza. Vorrei andare di là, da sano, non da ammalato e senza usare le medicine.

Dopo i saluti e gli abbracci, Riccardo torna al suo orto e ai suoi oggetti: alla sua vita di sempre.

Roberta Tomba