Non solo Marzeno e Lamone. A causare danni nella notte tra il 18 e il 19 settembre, a Faenza, è stato anche il fiume Senio, tornato a invadere campi e ad allagare le case di via Casale, già colpita dall’alluvione del maggio 2023. La paura è poi tornata lo scorso 3 ottobre, quando il Comune di Faenza ha disposto l’evacuazione di via Casale 10, dove risiedono undici famiglie, poi rientrata grazie al miglioramento del meteo. «Come si fa a vivere facendo la valigia ogni quindici giorni?», si chiede però Paola Casadei, residente proprio in via Casale 10 e portavoce delle famiglie. «Inoltre – continua Casadei – se ci evacuano con la motivazione che gli argini nella nostra zona sono fragili, perché non iniziano i lavori di ripristino?». Già, perché a distanza di sedici mesi dall’alluvione dello scorso anno l’argine destro del fiume Senio, da Tebano a via Casale, conta ancora otto brecce aperte, oltre a interruzioni ed erosioni e non è ancora chiaro quando inizieranno i lavori, nonostante 500 firme raccolte proprio dal comitato dei residenti per riparare al più presto l’argine. L’argine sinistro, quello che difende Castel Bolognese dal Senio, è stato ripristinato e risulta più alto, rispetto al destro, di almeno un paio di metri.
Paola Casadei: “Ci sono famiglie che hanno avuto 1,80 metri d’acqua all’interno delle case lo scorso maggio ed erano rientrate da una settimana”
Casadei, qual è lo stato d’animo dei residenti dopo la nuova alluvione e l’ulteriore evacuazione dello scorso 3 ottobre?
Ci tengo a sottolineare che il 3 ottobre, nonostante il livello del Senio non fosse alto, si sono registrati alcuni allagamenti, dovuti al rio Celle, con alcuni agricoltori dunque che hanno avuto ulteriori danni. Lo scorso 19 settembre invece il Senio è tornato a invadere i campi, attraverso le brecce aperte, con troppa facilità e poi ha invaso di nuovo le case, con acqua alta fino a 60 cm, sufficienti per buttare via molti mobili ricomprati dopo l’alluvione del 2023. I residenti sono stanchi, c’è sfinimento e disperazione, perché non si intravede una via d’uscita.
Ci sono famiglie che hanno avuto 1,80 metri d’acqua all’interno delle case lo scorso maggio ed erano rientrate da una settimana quando è arrivata la seconda alluvione. Ora devono ricominciare da capo e non hanno né i mezzi economici e né le forze, non vogliono più tornare a casa e si sentono abbandonate. Inoltre ci sono aziende agricole che si sono ritrovate ancora con i terreni sommersi da quattro metri d’acqua e danni enormi.
Perché l’argine destro del Senio non è ancora stato ripristinato?
La versione ufficiale è che attendono il Piano Speciale, per capire come muoversi e nel frattempo ci sono emergenze più impellenti da risolvere sul territorio. Abbiamo presentato una raccolta firme per il rifacimento dell’argine e c’è stato uno scambio di Pec con la Regione, nella persona di Marco Bacchini (responsabile Agenzia per la sicurezza territoriale e protezione civile di Ravenna), ma non è emersa nessuna soluzione concreta per il ripristino dell’argine, anzi le risposte avute mi hanno amareggiata parecchio. La Regione ha richiesto ai privati di risistemare l’argine ma questo non è possibile: gli argini non possono essere toccati da soggetti privati, sono di competenza regionale e ci sono, in merito, anche delle sentenze di tribunali. Inoltre la Regione ha indicato, come concausa dell’alluvione del maggio 23, alcuni scarichi, a detta loro privi di necessaria concessione, di agricoltori verso il fiume. Questi scarichi però non sono abusivi e non possono aver giocato un ruolo nell’alluvione dello scorso anno, si tratta solo di fare lo scaricabarile e non volersi prendere le proprie responsabilità: questo è intollerabile.
Non è stato fatto nulla?
La verità è che ci sono state tante promesse, ma è tutto fermo, i lavori sull’argine non sono mai iniziati. Hanno solo pulito il fiume e, a inizio settembre, iniziato a scaricare massi ciclopici vicino alle nostre case. Speravamo potessero iniziare i lavori, ma dopo la nuova alluvione i mezzi non sono più tornati, non sappiamo cosa sia successo, forse sono impegnati su altri fronti. Intanto però il passaggio dei camion ha ulteriormente abbassato un argine già fortemente eroso e indebolito.
È stata però pubblicata una bozza preliminare del Piano Speciale. All’interno si prospetta una soluzione per via Casale?
No, nella bozza non si menziona via Casale e non sappiamo quindi quale sarà il nostro destino. La nostra grande paura è che tutto rimanga fermo ancora per molto tempo, tra lungaggini burocratiche e rimpalli di responsabilità che si susseguono.
È una situazione snervante, non possiamo vivere con serenità né riuscire a guardare al futuro. Il 7 ottobre abbiamo un appuntamento con il sindaco Isola e contiamo di fargli capire che è urgente sbloccare i lavori sull’argine anche se non abbiamo grandi aspettative.
Si è parlato molto per la vostra zona della possibile creazione di un’area allagabile. Visto che sono presenti però abitazioni e terreni coltivati vi hanno prospettato una delocalizzazione?
Non c’è nulla di concreto però siamo talmente tanto sfiniti, avviliti e disperati che una delocalizzazione, gestita in maniera efficiente e con indennizzi economici adeguati, sarebbe accolta molto probabilmente con favore dalla maggioranza di noi residenti. In questo momento, seppur spaventati, non possiamo andarcene perché abbiamo acceso mutui o investito tutti i nostri risparmi sulle nostre case, oltretutto ripristinandole dopo l’alluvione del maggio 2023. Ci sentiamo cittadini di serie z. Lo stesso ragionamento vale per le aziende agricole della zona, che hanno subito danni rilevanti e non sanno come guardare avanti.
Samuele Bondi