Il suono della prima campanella dell’anno rappresenta sempre una fase di passaggio. Ogni studente che varca la porta dell’aula porta con sé diverse aspettative, desideri, sogni, voglia di mettersi in gioco. Al tempo stesso, nel superare quella soglia, possono subentrare le paure e le difficoltà relazionali tipiche dell’età dell’adolescenza. E proprio in quella scuola in cui stanno entrando devono trovare uno spazio in cui realizzare le proprie passioni o essere ascoltati nei propri bisogni. Con Paola Babini, consulente psico-educativo della Scuola Sant’Umiltà, mettiamo il focus proprio sull’età delle scuole medie, una delle più bisognose di attenzione e con proprie specificità.
Intervista a Paola Babini: “Bisogni e criticità che un tempo si riscontravano al termine della scuola media o all’inizio delle superiori si stanno anticipando sempre di più”
Dott.ssa Babini, il passaggio degli alunni dalla scuola primaria alle medie rappresenta un tempo particolare?
Ragazze ragazzi di quest’età cercano di sviluppare una propria identità e indipendenza, è un bisogno naturale legato al processodi sviluppo evolutivo. Incominciano ad acquisire una propria autonomia e a volersi distaccare dalla famiglia. Per questo in questa fascia d’età è molto importante lo sviluppo sociale e l’interazione tra pari all’interno del contesto classe. A scuola le figure adulte sono sempre presenti proprio per favorire relazioni sane e di valore.
Oltre a questo, come aiutarli nei loro bisogni?
A Sant’Umiltà puntiamo molto ad aiutarli a sviluppare un’espressione di sé a 360 gradi: artistica, sportiva, musicale… Lo facciamo in classe, ma anche tramiti laboratori pomeridiani. Si tratta di spazi privilegiati in cui lo studente può far emergere le proprie emozioni e talenti, sentirsi realizzato e ascoltato. La scuola non deve solo trasmettere nozioni, ma deve favorire un benessere a tutto tondo per i nostri alunni. Alla luce dei fatti di cronaca di questi giorni, che vedono coinvolti anche giovanissimi che non riescono a trovare soluzioni al proprio disagio, penso sia evidente come si debba sempre più mettere al centro il benessere individuale e relazionale. In questo la scuola deve essere un punto di riferimento. Alunni e studenti devono sentire di essere in un luogo dove poter esprimere se stessi accanto ad adulti di cui si fidano. Non è una sfida semplice, ma si lavora attraverso tanti piccoli passi concreti. Lo sviluppo di progetti per piccoli gruppi, i dialoghi individuali, lo Spazio di Ascolto che come scuola abbiamo promosso in questi anni per aiutare nelle situazioni più critiche.
E i risultati arrivano?
Le storie positive sono molte. Uno dei ricordi più significativi che ho è legato ai progetti teatrali della scuola. All’inizio la partecipazione di alcuni alunni con difficoltà relazionali poteva sembrare una scommessa. Ma si è fatta squadra: non si è lasciato indietro nessuno, e ha fatto crescere tutto il gruppo, non solo i ragazzi con bisogni specifici. Uno degli aspetti più importanti delle proposte extrascolastiche è il formarsi di una comunità, il sentire un senso di appartenenza forte che va al di là delle lezioni. E questo coinvolge non solo gli alunni, ma anche le loro famiglie, in quella alleanza educativa che è imprescindibile.
Come sono cambiati i giovani di questa fascia d’età negli anni?
Bisogni e criticità che un tempo si riscontravano al termine della scuola media o all’inizio delle superiori si stanno anticipando sempre di più. Penso per esempio alle difficoltà legate all’ansia scolastica o al disagio di vivere il contesto sociale (rischiando di portare all’isolamento), fenomeni sempre più precoci, su cui può aver influito anche la pandemia. Un altro aspetto su cui è bene porre l’attenzione è quello dei social. Impiegano molta energia mentale dei nostri giovani. La scuola rispetto a questo deve porsi come uno spazio fisico concreto che dà un’alternativa al loro tempo. Non si vogliono demonizzare i social, ma non possono essere l’unico modo per rapportarsi con il mondo. E quando la scuola propone alternative di valore, gli adolescenti rispondono. Non è vero che non si appassionano, questo è un pregiudizio di noi adulti.
Questo tema si lega alle nuove norme sull’uso del cellulare in classe, anche per fini didattici.
A mio parere, come per ogni tecnologia, il divieto assoluto non è mai soluzione. Appena escono da scuola, i nostri studenti devono saper utilizzare correttamente uno smartphone. Giusto che ci siano regole, ma il solo divieto non ha una funzione educativa.
Un suggerimento per i docenti in vista dell’anno scolastico?
Prestare grande attenzione alla comunicazione e al modo di dialogare con i propri alunni e studenti, che va oltre la lezione frontale. Chiaro, c’è chi è più portato e chi meno, ma è una cosa su cui tutti possiamo lavorare e fare meglio, senza improvvisare, per il bene dei nostri alunni.
Samuele Marchi
Foto: Rita Baruzzi