“Abbiamo perso il senso del noi e il livello comunitario quando abbiamo perso il fuoco attorno a cui ci raccontavamo”. Lo ha spiegato questa mattina, Annalisa Caputo, docente all’Università degli studi di Bari, nella sua relazione “In prima persona: abitare e costruire la casa comune della democrazia” alla prima assemblea plenaria della 50esima Settimana sociale dei cattolici in Italia, a Trieste.

“Non tessiamo solo abiti ma racconti – ha aggiunto Caputo -. La nostra vita è come un libro. Sono io l’autrice e la protagonista. Nessuno può amare o partecipare al posto mio. Ma non sono l’unica attrice. In relazione con i tu si forma la trama del noi. Ma io ho mai raccontato a qualcuno la mia storia di vita?”.

Il problema di partecipazione che mette a tema questa 50esima settimana sociale dei cattolici, dice la docente, nasce dal fatto che “non ci rendiamo più conto di essere parte di una storia più grande. Partecipare significa mettere il proprio filo in un disegno comune ed essere convinti che insieme e diversi è più bello”. Ma i social e le nuove forme di comunicazione ci spingono sempre più a quell’“intreccio monocolore” che ci allontana da tutto ciò che è diverso. 

Occorre, invece, “fare posto a più storie. Se ciò che desideriamo è la giustizia, non possiamo non desiderare la partecipazione di tutti. Una democrazia ad alta intensità, come la chiama Papa Francesco. Ogni filo che manca è un buco nel tessuto ecclesiale e sociale. Ogni impegno non può non ripartire da chi non ha voce”. In questo, ha concluso la docente, il luogo della fragilità è anche quello della responsabilità che dà corpo e forza alla democrazia.