“Non lasciamo nessuno”. Poche parole di incoraggiamento ai propri uomini e un salvataggio destinato a restare nella storia. È l’alluvione del maggio 2023: le immagini dei carabinieri del Comando di Faenza durante l’intervento in via Silvio Pellico, con l’acqua alla gola hanno fatto il giro del mondo. La voce che incita e guida gli uomini in azione è quella del capitano Alessandro Averna Chinnici, nipote di Rocco Chinnici, il magistrato assassinato dalla mafia nel 1983, a Faenza dal settembre 2022. Classe 1991, si è già occupato in passato di anti-terrorismo e primo intervento in situazioni di emergenza.

Capitano Averna Chinnici, cosa ricorda di quel giorno?
Ci siamo precipitati sul posto, non c’era tempo da perdere. Quella frase mi è scappata dalla gola in un momento drammatico: non sapevamo se saremmo riusciti a portare in salvo le persone, noi stessi e i nostri mezzi. Una cosa però era chiara: saremmo dovuti uscire insieme da quel momento, più forti di prima, mezzi compresi. Quel grido era rivolto anche ai faentini: dovevano sapere e sentire che siamo al servizio di tutti.
Lo rifarebbe?
Certo. L’alluvione ha permesso ai miei carabinieri di dare il meglio di loro stessi ed è stato senza dubbio uno dei momenti più alti della mia carriera. C’erano ragazzi giovanissimi che non hanno esitato a tuffarsi, ma anche veterani, con moglie e figli a casa. È stato un periodo duro, abbiamo dovuto riaccendere i termosifoni, perché le divise non si asciugavano. Usavamo sempre le stesse uniformi, le appendevamo e il giorno dopo si ripartiva.
E le notti?
Le poche volte che si riusciva a dormire, lo spazio per riposare andava dalle 3 alle 5 del mattino, ma sono stati momenti che ci hanno uniti alla città. Non lasceremo mai indietro nessuno. Qualunque cosa accada, noi ci siamo.
Come si trova a Faenza?
Molto bene. Mi piacciono la città e la popolazione. Ritrovo qui la solarità del popolo siciliano. Le persone ci accolgono bene, a volte ci offrono il caffè, sono cose che scaldano il cuore e fanno sentire a casa. Sono molto contento anche dei militari che ho con me. È una bella Compagnia.
Come è cambiata la città ?
I problemi principali restano lo spaccio di droga e i furti nelle abitazioni. Lo spaccio è un problema diffuso e facciamo di tutto per arginarlo. Per i furti, invece, parte del ‘problema’, se così si può dire, sta nel fatto che la gente qui è di un’onestà incredibile e spesso non ha la malizia di immaginare un gesto criminale. A volte avvengono furti di trattori perché il proprietario lascia le chiavi inserite, per fare un esempio. Il furto nelle abitazioni fa sentire violati, per questo, quando riusciamo a recuperare la merce rubata, abbiamo il piacere di riconsegnarla direttamente a proprietari.
Episodi di violenza a sfondo sessuale e baby gang ce ne sono?
Pochi per fortuna. Per quanto riguarda la delinquenza giovanile non abbiamo ricevuto denunce di questo tipo, qualche ragazzata, imbrattamento di muri, piccoli reati. La situazione è sotto controllo.
In estate aumentano gli episodi di microcriminalità?
Ci sono brevi periodi, specialmente a cavallo di Ferragosto, dove le case sono vuote e certo il rischio di furti aumenta leggermente, mentre lo spaccio è costante tutto l’anno.
Come contrastarli e prevenirli?
Organizziamo incontri con la cittadinanza, anziani e persone fragili anche nelle parrocchie e avvisiamo la popolazione. Da parte nostra cerchiamo di coprire tutto il territorio: abbiamo sempre diverse pattuglie a tutelare la Romagna faentina.
Lei porta un cognome importante: cosa significa oggi la lotta alla criminalità organizzata?
Sarebbe ingenuo pensare che non sia arrivata fino a qui e ne abbiamo avuto le prove. È un fenomeno diffuso a macchia d’olio su tutto il Paese. Non c’è un porto franco. Oggi la mafia agisce sottotraccia piuttosto che cercare una battaglia invano, perché ha capito che lo Stato vince sempre, anche nelle piccole cose. Giovanni Falcone aveva una visione quasi fatalista di questo fenomeno: secondo lui così come era iniziato, sarebbe dovuto finire. Non sono all’altezza di commentare l’argomento, mi fido delle sue parole, ma ad oggi posso affermare che non è affatto finita, e finché non lo sarà noi carabinieri saremo sempre lì a combattere per la legalità.
Cosa l’ha spinta a seguire le orme di suo nonno?
Se mio nonno non fosse stato ucciso, forse avrei fatto tutt’altro. Il suo sacrificio e quello della scorta hanno segnato profondamente la mia vita, ancora prima che nascessi. Giovanni Falcone era al mio battesimo, un anno prima di essere ucciso. Borsellino era un caro amico di famiglia, nato il 19 gennaio, lo stesso giorno di mio nonno. Mia madre è stata per tutta la vita un magistrato (Caterina Chinnici ex magistrato e dal 2014 europarlamentare n.d.r) iniziando la sua carriera come uditore di Paolo Borsellino, che frequentava casa nostra, fumando sigarette sul divano insieme a mio padre. Non avrei potuto fare una scelta diversa e mi sono innamorato dell’Arma. Sicuramente era una strada già tracciata. Strada che ha seguito anche mio fratello che oggi è un Commissario della Polizia di Stato.
Cosa vi porta a mettere a repentaglio la vita?
Vedo ogni giorno uomini e donne di età diverse, con le loro storie, fragilità, difetti e affetti, tutti disposti a mettere il servizio verso la collettività al primo posto. Ci sono fra noi ragazzi, uomini e donne straordinari, escono armati, correndo dei rischi ogni giorno, non sapendo in che condizioni torneranno a casa. Hanno pronunciato un giuramento alla fine di un corso di formazione dove impariamo quello che amo definire “la magia dell’essere un carabiniere”, cioè il valore del sacrificio. Non lo facciamo né per denaro, tantomeno per decorazioni o medaglie e nemmeno perché sia giusto. Chi fa il carabiniere lo fa perché ci crede. E questo da 210 anni fa una differenza enorme.
Barbara Fichera