Caro direttore, sono Ilaria Mohamud Giama. Prima di tutto vorrei ringraziare il vicedirettore Samuele Marchi perché mi ha offerto l’opportunità di raccontarvi quanto mi è accaduto domenica 30 giugno, in piazza a Faenza.

Mi trovavo di fronte al bar Bassi quando ho notato due persone che facevano qualcosa al muro del tribunale di pace. Ho deciso di avvicinarmi e ho notato che stavano strappando dei fogli con i colori della bandiera ucraina con scritto “free palestine”… A dire la verità non ricordo neanche cosa ci fosse scritto dato che non ne sono rimaste tracce. Una volta chiesto: «perché li togliete?», sono stata aggredita e offesa verbalmente con epiteti come «torna al tuo paese» «deficiente» «vaff…» è così via, fino ad arrivare a minacce: «stai attenta a filmare». Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere da due persone adulte. Ho chiesto spiegazioni perché ci tengo alla mia città e sono sensibile a quello che sta succedendo nel mondo, così come nel piccolo della mia città. Mi sono agitata per via della violenza inaspettata ricevuta e dopo aver cercato di rispondere mi sono allontanata, amareggiata.

Non so chi abbia affisso quei manifesti, ma apprezzo molto questo gesto. Faenza è piena di simboli di pace più o meno informali: dalle panchine dedicate alle donne vittime di violenza, ai murales, fino ad arrivare alle stesse scuole intitolate a persone che hanno trasmesso la pace e la non violenza attraverso la cultura come quella dedicata a don Milani. I messaggi di pace è un bene che vengano veicolati in più forme, da più realtà e in più modi, così da rendere gli spazi che viviamo più inclusivi e accoglienti per tutti. L’articolo 21 della Costituzione italiana così recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».
Non penso di aver sbagliato facendo solo una domanda a un mio concittadino.

Ci tengo a sottolineare che la comunità faentina si è dimostrata vicina e solidale sia come singoli sia come associazioni e organizzazioni politiche e non. Ringraziando tutti coloro che mi sono stati vicini e che non rimangono indifferenti di fronte alle ingiustizie. Grazie perché è la cultura che trasmettete tramite le azioni quotidiane che contribuisce a cambiare, a poco a poco, il mondo.

Ilaria Mohamud Giama – Faenza

Cara Ilaria, non ci sono parole per qualificare certe atteggiamenti. Ti inviterei a guardare oltre e a non occuparti di alcuni, immagino pochi, che vedono solo loro stessi e non sono in grado di comprendere che non siamo noi i padroni della nostra vita, ma che la vita ci è stata donata.

Per il resto, direi, continua con questo tuo bel piglio deciso e vedrai che troverai sempre molte più persone che ti apprezzano anche per questo tuo impegno diretto nelle questioni civili e sociali. La speranza che coltiviamo tutti noi è che un bel giorno si possa vivere insieme senza doversi curare di chi ci guarda male o pensa di essere superiore. La pace invocata da tanti, in primis da papa Francesco, passa anche attraverso i gesti che ognuno di noi mette in atto ogni giorno. Non per un buonismo fine a se stesso, ma per convinzione. Perché ci sentiamo, e vogliamo sentirci, tutti fratelli, figli di uno stesso Padre. Non esiste più né giudeo né greco, né schiavo né libero, dice san Paolo nella lettera ai Galati (3,28) perché in Cristo siamo tutti uno. Un abbraccio da tutti noi e tanta solidarietà per il coraggio di uscire in pubblico con questa lettera.

(Fz)