L’origine del Palio del Niballo risale probabilmente al basso medioevo ed è in parte avvolta dal mistero. Pare infatti che la prima giostra di cui si hanno notizie fosse quella del Barbarossa, una quintana voluta nel gennaio 1164 dall’imperatore Federico in persona, ospite dei signori faentini Enrico e Guido Manfredi. Sembra che la giostra avesse lo scopo di testare l’abilità dei faentini in battaglia. Le prime notizie davvero ufficiali risalgono però a tre secoli più tardi, anche se le origini sono quasi certamente ben più antiche, quando San Pietro fu scelto come protettore di Faenza. Nei secoli successivi se ne correranno a Faenza ben quattro: il Palio di San Nevolone (verso la fine del XIII secolo), una gara organizzata da rappresentanti del popolo, il Palio dell’Assunta, che si correva nel XV secolo, dove in premio andavano un drappo di colore verde (il palio appunto), una porchetta, un gallo, due once di spezie e una resta di agli. C’è chi racconta che si trattasse di una gara di velocità abbastanza cruenta in sella o addirittura con cavalli lanciati alla barbaresca, cioè senza cavalieri, con partenza da Pieve Ponte e arrivo nella piazza Maggiore della città. Negli statuti del 1410 troviamo anche un riferimento al Palio di San Pietro, seguito poi dalla Quintana del Niballo. La tradizione venne poi inghiottita dal passare dei secoli, per essere rispolverata nel 1959 con la formula che conosciamo attualmente: cinque rioni che si sfidano a cavallo in singolar tenzone nello stadio cittadino.

Il drappo in chiave pop art di Montuschi «Serve per avvicinare i giovani»

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A San Pietro, patrono della città fino alla peste del ‘600, quando il ‘testimone’ passò alla Beata Vergine delle Grazie, è dedicato il drappo, realizzato quest’anno dall’artista Giancarlo Montuschi. «Ci sono tanti connubi fra il fumetto e la pittura medievale» – ha spiegato l’artista che realizzato l’opera secondo i dettami della pop art. San Pietro appare imponente e semplice al contempo: viso pulito e sandali, nei suoi abiti sono raccolti tutti i colori della città. «Ho volutamente ingigantito le chiavi del santo, come se fossero i baluardi dei supereroi contemporanei. La pop art credo possa avvicinare i giovani». In alto compare il Duomo di Faenza « segno di elevazione e rinascita senza nessun riferimento all’acqua» conclude l’artista.

Il liocorno in ceramica, Massari: «Simbolo di castità e purezza»

Altra nota di colore, il liocorno in ceramica, realizzato dall’artista forlivese Alexandra Massari, che andrà alla miglior dama. Raffigurato come un cavallo con un lungo corno sulla fronte, barba di caprone, coda leonina, zampe pelose e zoccoli bovini, il liocorno divenne nel Medioevo simbolo di castità. La leggenda racconta infatti che, incontrando una fanciulla vergine, corresse verso di lei per addormentarsi placidamente tra le sue braccia. La figura del liocorno è stata molto usata nell’araldica medievale come simbolo di forza, vittoria, purezza e castità. Alexandra Massari, giovanissima ceramista di quarta generazione ha rappresentato il liocorno di quest’anno «scegliendo il bianco e l’oro – ha spiegato – perché sono i colori più limpidi e puri che esistano. Ho voluto quindi dare risalto ancora alla purezza e alla castità che questo animale mitologico rappresenta». Per gli appassionati del Palio è anche disponibile un gioco da tavolo uguale in tutto e per tutto all’originale.

Barbara Fichera