Il saper fare gioco di squadra, il migliorarsi ogni giorno tra sacrifici dare il massimo, il rispetto per compagni e avversari. Sono queste alcuni degli argomenti emersi dal pomeriggio proposto dalla Polisportiva Zannoni e dalla parrocchia di Errano, domenica scorsa, durante l’incontro Sport è vita dedicato ad approfondire i temi della fede e dei valori. Oltre a don Mattia Gallegati, Renato Laghi, Vittorio Dalmonte e Davide Babini, ospite principale dell’incontro è stato Matteo Francesconi, 20 anni, faentino centrocampista del Cesena che quest’anno ha vissuto un’annata incredibile, la prima da titolare, con 38 presenze e un goal, che si è conclusa con la vittoria del campionato e la promozione in B. Francesconi, originario di Basiago, ha iniziato a giocare a 4 anni nel Reda, e da lì è partito un percorso che l’ha portato oggi a essere calciatore professionista pronto all’avventura in B.

Intervista a Matteo Francesconi, 20 anni, giocatore del Cesena

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Relatori e organizzatori dell’incontro a Errano.

Francesconi, anche a questi livelli il calcio è ancora, soprattutto, un gioco, come lo era a Reda?

Assolutamente. Questo rimane l’aspetto principale. Per me il calcio è passione ed è sinonimo di divertimento. Poi è chiaro, a questi livelli entrano in ballo anche altre dinamiche, di fatto è un lavoro, dove devi interagire con tanti aspetti diversi anche extracalcistici. Devi pensare alla squadra, ma anche al tuo cammino personale da professionista. Entrare in campo e giocare rimane però la cosa più bella ed è il centro di tutto. Mi fa stare bene, quando sei lì non pensi ad altro. Certo, per arrivare a certi livelli devi fare dei sacrifici. Spesso ho dovuto saltare dei compleanni o attività con i miei amici. Devo stare attento alla dieta, evitare certi cibi, non fare tardi la sera. Essendo una persona dal carattere tranquillo, questo però non mi ha pesato molto. Anche perché, quando tutto si realizza, capisci che quelle rinunce sono state fatte per qualcosa di più grande che mi dà oggi tanta soddisfazione.

Il ricordo più bello di quest’anno?

Il goal vittoria del campionato, un’emozione incredibile, ricordo ancora il boato dello stadio. Durante la settimana, invece, il momento che preferisco sono le partitelle a fine allenamento. Sono la cosa più divertente, perché giochi con i tuoi compagni in maniera davvero spensierata, senza pensare ad altro.

Quando hai capito che la passione stava per trasformarsi in qualcosa di più?

In realtà non c’è stato un momento preciso. Mi sono sempre impegnato tanto, sin da piccolo non saltavo mai un allenamento e non ho mai messo niente davanti al calcio. Come mi dice sempre mio babbo: “quando smetterai di giocare, l’importante è non avere rimpianti e aver dato tutto quello che potevi dare, sia che tu sia un fuoriclasse, sia un giocatore normale”. Ed è così che sono andato avanti giorno dopo giorno.

Quest’anno tutto è andato per il meglio. Cosa succede però quando invece incontri delle difficoltà?

Sono una persona serena e razionale. Se c’è un momento no, e a volte non è facile capire il perché, cerco di dare attenzione ai dettagli: l’alimentazione, il riposo, curare di più l’allenamento. A volte non c’è un motivo preciso per cui le cose non vanno bene, per cui cerco di concentrarmi al cento per cento sul calcio e a trovare la serenità anche fuori: la famiglia, la morosa, gli amici.

Qual è la tua giornata tipo?

Giocando a Cesena, ho la fortuna di abitare ancora a Faenza, con i miei genitori. Mi presento al campo alle 9 e la prima parte è dedicata al lavoro specifico in palestra. Alle 10.30 inizia l’allenamento con la squadra, della durata fino a 2 ore circa. Poi alle 12 chi vuole, può fare allenamenti specifici. Torno poi a Faenza, e poi il pomeriggio lo dedico ad attività leggere e normali per un ragazzo della mia età. Tra gli hobby che ho, c’è quello di cucinare. Avevo anche iniziato a studiare per l’università, ma quest’anno è stato particolare perché mi dovevo giocare il posto da titolare in squadra, e non avevo la testa per lo studio. Spero però di riprendere l’università in futuro.

Per un giocatore è più importante la testa o il talento?

Io non sono un giocatore particolarmente talentuoso. Se sono arrivato fin qui è stato per testa e passione. Riconosco però che ci sono giocatori in cui il talento naturale è innegabile. Io devo migliorare ancora molto, sulla gestione della palla in particolare, e lavoro sodo per quello. E mi piacerebbe cercare di fare qualche goal in più.

C’è amicizia a questi livelli?

Quando sei con 25 compagni di squadra nello spogliatoio è normale non essere amico con tutti. Si vivono esperienze forti, superiori magari a quelle di un normale rapporto di lavoro, ma questo non crea vere amicizie. Anche perché in certi casi la differenza di età si fa sentire. I rapporti di amicizia vera che ho sono, in particolare, quelli con gli altri ragazzi con cui ho fatto le trafile giovanili. Anche quando si vince e la squadra va bene, non è vero che si è tutti amici o che non possono esserci problemi nello spogliatoio. A volte, quando ti giochi il posto con un compagno di squadra, c’è il rischio che si venga a creare una brutta forma di competizione. Quella sana va sempre bene e ti porta a migliorati.

Quali sono i valori principali che ti ha insegnato lo sport?

Il rispetto in particolare. Rispetto per i tuoi compagni di squadra ma anche per tutti coloro che orbitano attorno alla squadra: dirigenti, magazzinieri… ognuno dà il proprio contributo per raggiungere l’obiettivo e ognuno è importante. Poi anche il rispetto delle diversità, perché incontri tante persone con culture e idee diverse, ma ci vuole sempre il rispetto. Poi la dedizione e il valore dei sacrifici per ottenere assieme i risultati.

Il sogno per il futuro?

Sarò banale, ma arrivare in serie A.

Samuele Marchi