Abbiamo raccolto la testimonianza di Elisa Coralli e Marco Pirini dell’associazione papa Giovanni XXIII, che dal 1996 hanno aperto la casa famiglia Santi Angeli Custodi a Russi. In 28 anni hanno accolto oltre 130 persone, oltre ai tre figli naturali, divenendo famiglia per tanti bambini e ragazzi in difficoltà.

Elisa, quando avete cominciato a fare affido e cosa vi ha spinti?

Tutti abbiamo bisogno di essere accompagnati, quindi in un certo senso ciascuno di noi è in affido. Come assistente sociale accompagnavo le persone e ho sentito il bisogno di mettere la mia vita insieme ai bambini che accompagnavo, così ho aperto la Casa famiglia. In questi 28 anni, insieme a mio marito, abbiamo accolto tante persone tra cui anche minori. Sentivamo che la nostra famiglia non poteva esaurirsi solo con noi e i nostri figli naturali, ma che il dono ricevuto poteva essere condiviso con altri.

Si riesce a recuperare il rapporto con la famiglia naturale?

Lo scopo dell’affido è tutelare il minore in attesa che la famiglia di origine sia in grado nuovamente di prendersi cura del bambino. A volte si è recuperato il rapporto, altre volte no, ma sempre abbiamo fatto in modo che rimanesse viva, per quel che era possibile, questa relazione. Non sempre è stato possibile il rientro nella figlia di origine, ma il rapporto con le proprie radici e con la propria storia familiare è fondamentale e va mantenuto anche se non avviene il rientro.

Qual è stata la gioia più grande e quale la difficoltà maggiore?

Il veder rifiorire un figlio in affido, che richiede tanta attenzione e cura. È come assistere a dei miracoli in cui siamo sia collaboratori, ma più spesso spettatori. C’è chi ha ricominciato ad avere fiducia in sé stesso, chi ha inseguito un sogno con lo studio o con un lavoro, chi ha trovato l’amore della propria vita e ha formato una famiglia. Si naviga in un terreno sacro. Occorre non essere elefanti in un negozio di vasi di porcellana. Gli equilibri sono precari. Sono necessari ascolto, pazienza, accompagnamento, l’aiuto di esperti e la rete con i servizi sociali. Questa vita condivisa insieme con chi è in difficoltà tira fuori però anche i tuoi limiti: occorre farci i conti e lavorarci. Spesso è faticoso ma al contempo un dono prezioso per crescere insieme.

Perché vale la pena occuparsi di minori in affido?

I bambini sono il nostro futuro. Spendere la vita insieme a loro è una grande opportunità di gioia e di speranza.

Quali risultati è possibile ottenere?

Accompagnare una famiglia in difficoltà, prendendosi cura del loro bimbo previene situazioni di degrado che possono portare a devianze e criticità. I risultati migliori si ottengono quando la rete di aiuto non è limitata alla famiglia affidataria, ma a un gruppo di famiglie o comunità in sinergia con i servizi, e le altre agenzie educative del territorio. Accogliendo e accompagnando i bimbi in affido siamo cresciuti anche noi come genitori e come famiglia.

Antesignani dell’affido sono stati i faentini Francesco Bandini e Gabriella Ceriolini

francescobandini

Pionieri dell’affido a livello nazionale sono stati i coniugi faentini Francesco e Gabriella Bandini, che non ebbero figli naturali e che nel lontano 1976 iniziarono ad accogliere i primi bambini. Antesignani della famiglia aperta ai bisogni degli ultimi, accolsero quasi per caso nella loro casa bambini e ragazzi di ogni età otto anni prima dell’approvazione della legge 184. Dal 1979 al 2006 sono stati 42 i bambini e ragazzi transitati da casa Bandini, anche dopo la morte di Francesco, sopraggiunta prematuramente nel 1994. Gabriella, venuta anche lei a mancare nel 2012, si è occupata fino alla fine di ragazze madri, strappate spesso alla strada o a situazioni difficili. Oggi sono 21 i minori in affidamento residenziale nel territorio dell’Unione Romagna faentina, mentre 12 sono quelli in forme di sostegno familiare.