In tutte le mappe elettorali di questi giorni, i vari stati americani si sono colorati (e in certi casi ancora devono colorarsi) di rosso o di blu. Il rosso è associato a Donald Trump e quindi ai Repubblicani; il blu a Joe Biden, e quindi ai Democratici. È una convenzione ormai molto diffusa, al punto che spesso si parla addirittura di “stati rossi” o “stati blu”.
E’ una convenzione relativamente recente, che si è consolidata con le elezioni del 2000, quelle vinte da George W. Bush e perse – per circa 500 voti in Florida – da Al Gore. Prima di quell’anno era spesso capitato il contrario (rosso per i Democratici e blu per i Repubblicani) ed era anche successo che qualcuno scegliesse, per le rappresentazioni delle mappe elettorali, altri colori, come il giallo o il verde. La storia di perché certi colori finiscono per attaccarsi e quasi identificarsi con certi partiti, movimenti o ideali politici non è sempre chiara da ricostruire.
Si può certo dire, però, che ancora prima che esistessero gli Stati Uniti in gran parte della cultura occidentale il rosso era il colore della sinistra. Prima ancora delle camicie rosse garibaldine o dell’arrivo del comunismo, un forte contributo a questa identificazione cromatica lo diede la Rivoluzione francese.
E anche negli Stati Uniti, in particolare negli anni della Guerra Fredda, il rosso fu ovviamente associato all’Unione Sovietica. Comunque, per buona parte del Novecento, nessuno si preoccupò più di tanto di assegnare un colore ai Democratici e uno ai Repubblicani: i giornali erano stampati in bianco e nero e senza colori erano anche i primi televisori.
Dalla metà degli anni Settanta, quando circa una casa americana su due aveva un televisore a colori, iniziarono a diffondersi le mappe elettorali colorate. Nel 1976 – per raccontare le elezioni presidenziali poi vinte dal Democratico Jimmy Carter – il canale televisivo NBC usò per esempio una mappa elettorale “elettronica” (che tra l’altro rischiò di sciogliersi per il troppo calore), con lampadine rosse che si accendevano per gli stati assegnati a Carter e lampadine blu per gli stati assegnati a Ford.
Con l’avvicinarsi delle elezioni del Duemila ci fu una generale convergenza verso l’associazione del rosso con i Repubblicani e del blu con i Democratici. Le elezioni si svolsero il 7 novembre del 2000: mi ricordo molto bene quel giorno, in cui mia figlia per la prima volta andò via da casa nostra, per stabilirsi un anno a Milano e, di fatto, iniziare la sua vita autonoma dalla nostra famiglia. Di quelle elezioni si parlò parecchio e molto a lungo; alla fine fu la Corte Suprema a convincere Al Gore ad accettare la sconfitta, anche se era molto dubbio che avesse perso davvero: le mappe colorate diventarono importanti, per spiegare cosa stesse succedendo. Mentre si aspettava un risultato definitivo dopo il voto, alcuni commentatori politici iniziarono a fare riferimento a “stati rossi” e “stati blu”.
Ora, negli Stati Uniti, il blu e il rosso sono così profondamente associati ai Democratici e ai Repubblicani che, ancora prima delle elezioni e delle mappe elettorali, i due colori sono spesso presenti in loghi, manifesti e campagne pubblicitarie. Un esempio per tutti: i famosi – e sempre rossi – cappellini “Make America Great Again” di Donald Trump.
Forse anche questo è un segno che nella politica mondiale questi giorni sono caratterizzati dal disorientamento più che dalle certezze.
Tiziano Conti