Caro direttore,

non è nostra intenzione rievocare, in chiave nostalgica, i fasti di un passato non troppo lontano, medaglie sul petto di una divisa ormai logora e sbiadita, quanto fornire un contributo per una riflessione, una confronto aperto, franco, autocritico se necessario, sul ruolo dei cattolici, in una società che è profondamente cambiata in pochi anni e che non ci vede più protagonisti.

Non crediamo di sbagliare affermando che il mondo cattolico faentino, oggi, appare come una barca a vela in un mare senza vento, fermo, bloccato, nella posizione di chi, per non rischiare, preferisce restare immobile, al pari del servo che, avendo “ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone” (Mt 25 – 18).

Da un lato la paura di un mondo esterno carico di insidie e pericoli, da cui è bene mantenere le giuste distanze, e dall’altro la frustrazione per una presunta incapacità di trasmettere a quel mondo i valori cristiani, ci impediscono da tempo, di immergerci proficuamente nelle vicende storiche della città, di lanciarci nella mischia, di lottare, evitando che l’immobilismo si trasformi, ben presto, in chiusura, isolamento, distacco. Diciamo questo con grande umiltà e rispetto per il lavoro di ognuno, ma anche con senso di responsabilità e onestà intellettuale, sottoponendo la nostra riflessione al giudizio di tutti.

Questa condizione si presta, in realtà, a due letture diverse.

La prima, non priva di fondamento, esprime il pericolo dell’accerchiamento da parte di un mondo che ci è estraneo e che cerca, con ogni mezzo, di contrastare, isolare, marginalizzare il pensiero cattolico, nel tentativo di silenziarlo, renderlo ininfluente e forse di annientarlo in politica, così come nella società e nella cultura.

La seconda, forse ancor più radicata della prima, esprime non la paura di soccombere, ma la volontà di escludere gli altri dal proprio recinto. Si nutre, cioè, non del timore di essere sopraffatti, ma di quello di essere contaminati, corrotti, inquinati. Meglio chiudersi nel guscio rassicurante della propria associazione, parrocchia, gruppo, movimento, piuttosto che impegnarsi in una competizione nella quale si è destinati a essere perdenti  o, se va bene, a mettere in discussione la propria identità.

In questa visione il “mondo fuori” non è la “casa comune”, di cui parla papa Francesco, che condividiamo con altri fratelli, che hanno idee e convinzioni diverse dalle nostre, con i quali è doveroso confrontarci e ricercare, laddove possibile, una unità di intenti e di obiettivi, ma è un territorio straniero, in buona parte inesplorato, che drappelli di volontari continuano a presidiare, per amore e spirito di servizio, con lodevoli attività educative, ricreative e caritatevoli, senza, tuttavia, mai mettere in discussione la distinzione di fondo tra “noi” e “loro”.

Un’analisi storica

Ma è stato sempre così? No, non è stato sempre così! C’è stato un tempo, in cui i cattolici faentini, sono stati totalmente immersi nel tessuto sociale e politico locale e hanno svolto un ruolo da protagonisti. Hanno abbondantemente irrorato, e quasi plasmato, queste terre e questa città, con progetti e iniziative forti ed innovative fin dalla fine dell’800 ed in particolare nella seconda metà del ‘900.

Tali azioni sono state prodotte non solo grazie al Partito della Democrazia Cristiana, che, dopo la seconda guerra mondiale, è stato lungamente alla guida dell’Amministrazione, ma, soprattutto, per la spinta di un movimento popolare, animato da leader illuminati, che si è alimentato nella feconda elaborazione politica e sociale che proveniva dal mondo cattolico e dalle sue Associazioni.

E così negli anni ’50, ’60, fino alla metà degli anni ’70, abbiamo assistito a un primo ciclo storico che ha determinato un profondo rinnovamento della economia faentina e prodotto un significativo salto di qualità, partendo dal settore agricolo ed espandendosi poi un po’ in tutti i settori. E’ di quegli anni, la creazione di una serie di cooperative, associazioni, gruppi e consorzi, culminato con la fondazione della Cassa Rurale ed Artigiana che hanno modificato il volto della nostra economia, rafforzato significativamente la struttura produttiva del territorio, e migliorato la qualità della vita di coltivatori, imprenditori, lavoratori e delle loro famiglie.

Un secondo ciclo, dedicato in particolare al settore dei servizi sociali e del welfare, con la stessa matrice e identità, si è registrato negli anni seguenti fino ai primi anni duemila. Sono nate  in quel periodo le cooperative sociali, ma soprattutto sono stati realizzati una serie di servizi e strutture per gli anziani, l’infanzia e la disabilità che hanno dato risposte efficaci alle domande pressanti che provenivano dalle persone e dalle famiglie in difficoltà.

Il futuro

Poi quella spinta propulsiva, quella vena fertile che ha elaborato, quasi a getto continuo, nuove idee e proposte si è come seccata, inaridita, ed abbiamo assistito ad un riflusso nel privato, ad una chiusura intra moenia sempre più marcata. Che fare allora?

C’è solo una cosa da fare, subito: vincere ogni timore ed uscire dal fortino, dialogare con gli altri, elaborare progetti nuovi, contaminare e lasciarsi contaminare, contribuire con le nostre idee e proposte ad innalzare il livello qualitativo della modesta stagione politica che stiamo vivendo, ritrovare rapidamente quella spinta che ci ha caratterizzati in un non lontano passato e ha prodotto tanti frutti eccellenti.

I campi e le occasioni non mancano: da quello ambientale (abbiamo appena vissuto una devastante alluvione) al tema della casa e dell’abitare, alla piena attuazione sul territorio della riforma del terzo settore, alle iniziative per favorire il dialogo intergenerazionale, al tema del lavoro “buono”, attraverso il quale le nuove generazioni possano mettere a disposizione della comunità, energie e competenze, al tema delle fragilità adolescenziali, del bullismo e delle baby gang ecc.

Se non si fa questo, la sensazione è che il nostro ruolo sarà sempre meno significante, col rischio di mettere a repentaglio oltre un secolo di positiva presenza dei cattolici a Faenza.

                                                                                               Acli – Faenza