Giovedì 25 aprile, l’abbraccio del colonnato di piazza San Pietro ha accolto – si dice – più di 80mila tra bambini, giovani, adulti e adultissimi, per l’incontro tra papa Francesco e tutta l’Azione Cattolica.
A braccia aperte, appunto, il tema dell’incontro nazionale e proprio così è stata la modalità dell’intera mattinata, caratterizzata dall’incontro di tanti volti, molti sconosciuti provenienti da tutta Italia, ma che attraverso l’appartenenza a un’unica grande famiglia, in cammino verso il Risorto, ha caricato di entusiasmo e speranza le tre splendide riflessioni che ci ha donato il Papa. Come famiglia e come Chiesa tutta, possiamo farne tesoro e cercare di viverle ogni giorno.

La cultura dell’abbraccio, via nuova di pace e riconciliazione

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L’abbraccio che manca è ciò che provoca chiusure, diffidenze, le braccia che si irrigidiscono non sono più veicoli di fraternità, ma di rifiuto e quando l’abbraccio si trasforma in un pugno, è molto pericoloso! All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o abbracci rifiutati. Ognuno di noi con la propria presenza e il proprio lavoro può testimoniare che la via dell’abbraccio è la via della vita. E questo porta all’abbraccio che salva: già umanamente abbracciarsi esprime affetto, stima, fiducia, incoraggiamento, riconciliazione ma quando lo si vive nella dimensione della fede, diventa vitale. Al centro della nostra esistenza c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, del Padre buono che ci riaccoglie nonostante tutto e si rivela in Cristo crocifisso e risorto, in quelle braccia aperte sulla croce per la salvezza di tutti. Non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, lasciamoci abbracciare da Lui come bambini. Nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri, così possiamo farci portatori di un abbraccio che cambia la vita, mostrando strade nuove, strade di speranza, che possono segnare una svolta decisiva – per gli altri, ma anche per noi – come per san Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore proprio dopo aver stretto a sé un lebbroso in un abbraccio di carità.
La “cultura dell’abbraccio“, attraverso cammini personali e comunitari, può rinnovare le relazioni familiari ed educative, i processi di riconciliazione e di giustizia, gli sforzi di comunione e corresponsabilità, per un futuro di pace. Tocca a noi, ora, contagiarci a vicenda con questi abbracci “a braccia aperte“!

Famiglia Severino – Galassi