Un luogo nel quale potersi esprimere e condividere il proprio disagio prima che sia troppo tardi. Uscire dal chiuso della propria camera e andare là dove c’è qualcuno disposto ad ascoltarti e dare un nome a quell’ansia che si sente dentro. Lo “Spazio Adolescenti”, inaugurato da pochi giorni a Faenza, vuole offrire un punto di incontro intermedio tra la le famiglie, la scuola e i Servizi sanitari per contrastare un fenomeno in costante aumento dalla pandemia in poi. E su cui c’è bisogno di tracciare strade e progetti nuovi. I numeri Ausl della provincia di Ravenna segnalano che i minori seguiti dal Servizio di neuropsichiatria nel 2023 sono stati 7.931, di questi 4.320 sono stati presi in carico attivando dei progetti di cura. Nel 2020 le persone seguite erano 6.856, con 3.688 minori presi in carico: nei tre anni successivi al Covid oltre mille segnalazioni in più. Per capire meglio verso quale direzione si sta andando, abbiamo intervistato la neuropsichiatra infantile faentina Elena Attanasio (Ausl Romagna).
In provincia di Ravenna nel 2023 sono state quasi 8mila le segnalazioni di disagi dei giovani: le liste di attesa rischiano di essere anche di un anno
Dottoressa Attanasio, da quando il trend di questi disagi è in crescita?
L’aumento delle richieste di accesso ai servizi di neuropsichiatria infantile, in tutta Italia, era iniziato prima del Covid. Nei cinque anni precedenti si è registrato un aumento fino al 50% degli accessi al Pronto soccorso e di ricoveri di tipo neuropsichiatrico per fenomeni come autolesionismo fino ad arrivare a tentativi di suicidio. Un altro campanello d’allarme sono stati i fenomeni di ritiro scolastico e sociale, anche questi in crescita già prima della pandemia. Il Covid ha accelerato ancora di più questo scenario. In particolare, per i ritirati sociali, il ritorno a scuola dopo il lockdown ha avuto effetti devastanti, con gravi forme d’ansia. Da lì, il trend non si è più fermato. I nostri ambulatori non riescono a reggere questi numeri e anche i professionisti privati, come gli psicologi, sono pieni. Capita che un ragazzo, dopo la segnalazione, prima di essere preso in cura, aspetti in lista d’attesa, un anno.
Cosa c’è dietro questo aumento?
Le storie sono varie, ma fenomeni di bullismo e cyberbullismo sono presenti. Quando un ragazzino non vuole più andare a scuola, nel 90% dei casi ha vissuto esperienze di bullismo che ha lasciato esiti traumatici, e che possono essere avvenuti anche lontano nel tempo. Molte volte i genitori ne sono all’oscuro, o sono episodi a cui a prima vista si è dato poco peso, ma lasciano segni indelebili. Il fatto che la scuola abbia faticato molto nel periodo della pandemia non ha aiutato. Gli alunni che esprimono disagi, spesso non trovano una scuola accogliente, o comunque in grado di comprendere le loro fatiche.
Oltre al bullismo, c’è altro?
Va premesso che, per quanto riguarda i disturbi psichiatrici, c’è sempre una componente genetica di base che influisce. Poi gli aspetti socio-culturali sono molteplici, in primi s la crisi della famiglia. Alla base ci sono tante carenze educative: in diversi casi riscontriamo come i bambini non rispettino le regole e non siano accompagnati da figure genitoriali ‘forti’. Da qui la fragilità di questa generazione.
Si parla spesso degli effetti che l’uso del cellulare ha sul minore.
Bisogna a parer mio partire da una premessa: le nuove generazioni hanno un modo di relazionarsi con gli altri e con il mondo diverso da noi.
È un dato di fatto. Questo è evidente nell’uso che fanno del cellulare. È un relazionarsi migliore o peggiore del nostro? A mio parere non è questo il punto. Non è di per sé il cellulare il problema. Ma come genitori ed educatori dobbiamo chiederci come lo usano. Bisogna avvicinarsi a loro con sincera curiosità, senza avere un tono giudicante. E chiedere cosa fanno con il cellulare.
Come intervenire in aiuto?
La cosa migliore è intercettare il ritiro sociale quando ancora non è strutturato. Per questo l’iniziativa della Regione di segnalare tutti gli alunni che hanno numero di assenza a scuola superiore a 15 giorni permetterebbe di intervenire prima. Purtroppo ai Servizi sanitari arrivano quando ormai i giovani sono chiusi in casa da due anni e le famiglie sono disarmate. Magari si erano illuse che il disagio rientrasse da solo.. Il nuovo Spazio Adolescenza serve proprio per intercettare i bisogni dei ragazzi prima che diventino irreversibili. È uno spazio d’ascolto intermedio tra i Servizi di salute mentale e la scuola, meno impattante, che permette di deviare una linea che invece potrebbe portare a disturbi d’ansia strutturati.
Quali sono i segnali da cogliere?
La modifica dei ritmi di base: sonno e alimentazione. Un bambino che dorme poco la notte, o che si sveglia spesso e poi gira per casa. Anche l’iniziare a fare molte assenze a scuola, rifacendosi a mal di pancia o a mal di testa. Poi, a seconda della sua indole, cambiamenti comportamentali, come il parlare sempre meno o l’avere fobie.
E invece una volta arrivati in neuropsichiatria, cosa fare?
La prima cosa è cercare una sponda nella scuola, avviando percorsi alternativi per far sì che il ragazzo non abbandoni le lezioni. Spesso infatti si tratta di bravi studenti, ma terrorizzati dallo sguardo dei compagni. Si inizia poi un percorso difficoltoso, cercando di creare occasioni per farli uscire di casa. Se hanno un lato sportivo forte, si fa leva su quello. Poi si collabora con il Centro per le famiglie, attivando doposcuola specifici che permettono di seguirli al meglio.
E si torna a scuola?
Qualcuno ci riesce. Ci vuole però la buona volontà di tutti e un grande lavoro di rete, dai professionisti sanitari a quelli scolastici e sociali insieme alle famiglie.
Samuele Marchi