«Per anni abbiamo cercato di dimostrare che l’hospice è un luogo di cura e non di morte», con l’ultima delibera regionale si torna nell’ambiguità. È amara la considerazione di Marco Maltoni, coordinatore della Rete delle Cure palliative dell’Ausl Romagna sulle ultime iniziative della Regione Emilia-Romagna in tema di fine vita. Come abbiamo scritto nel numero scorso, con una delibera di giunta, l’ente di viale Aldo Moro ha approvato “linee guida” che, di fatto, introducono a livello regionale la possibilità di richiedere il suicidio assistito supportato dal Servizio sanitario nazionale, disciplinandone tempi e modalità, e ha istituito un Comitato regionale per l’etica nella clinica (Corec) chiamato a dare pareri non vincolanti sulle richieste. Un passo indietro per chi ha fatto delle cure palliative uno stile di cura. Un passo che crea ambiguità, perché dalle prime dichiarazioni della presidente del Corec, il suicidio assistito potrebbe essere somministrato proprio negli hospice, luoghi nati per curare, fino alla fine, più che per dare la morte. Per ribadire questo, Maltoni e i colleghi palliativisti di tutta la regione hanno firmato e reso pubblico un documento che spiega cosa sono le cure palliative e come possono essere la vera alternativa alle richieste di suicidio assistito. Ne abbiamo parlato con lo stesso Maltoni.
Intervista al dottor Marco Maltoni. La posizione dei palliativisti dell’Emilia-Romagna
a seguito della delibera regionale sul “suicidio assistito”
Dottore, cosa succede ora dopo la delibera regionale?
Auspico un ulteriore sviluppo delle cure palliative per poter dare la possibilità di scelta quando verranno attuate le nuove linee guida, con tutti i limiti che hanno.
Quanti hanno accesso alle cure palliative in regione?
Abbiamo dati solo sui pazienti oncologici, ma delle cure palliative (in varie forme, dalla consulenza agli ambulatori) potrebbero aver bisogno anche altri pazienti: malati di Sla, sclerosi multipla e, in certe situazioni, anche persone affette da demenza, scompensi, insufficienze d’organo. Come dicevo, i conti si fanno sui pazienti oncologici e dicono che nel 2022 il 59% dei pazienti morti per neoplasie è stato preso in carico dalla Rete delle cure palliative (in hospice o a domicilio). C’è una variabilità da provincia a provincia: a Forlì un quarto dei nostri pazienti è costituito da persone che hanno malattie non oncologiche, in altri posti l’organico è un po’ più zoppicante. È chiaro che se ci paragoniamo alle regioni del Sud siamo più avanti, ma l’obiettivo prefissato è di raggiungere il 90% dei malati entro il 2028, e siamo lontani. Gli studi stimano che 335 persone ogni 100mila avrebbero bisogno di cure palliative: per la popolazione della Romagna, questo significa 4mila pazienti. Attualmente sono meno della metà.
Quindi, secondo le linee guida, il Corec non potrebbe accordare il suicidio assistito a chi non ha avuto accesso alle cure palliative…
La sentenza della Corte Costituzionale che ha originato questa normativa, su questo non è così chiara. Tra le condizioni di “non punibilità” c’è il fatto che al paziente siano state proposte le cure palliative, che ovviamente lui può rifiutare.
Quali criticità vede negli ultimi provvedimenti regionali in materia di fine vita?
Le anomalie sono varie, ne cito due. Come ha reso noto il Comitato nazionale di bioetica (Cnb), il Corec previsto dalla delibera non è il “comitato etico territoriale” che prevedeva lo stesso comitato. E la differenza sta nel fatto che questi comitati territoriali dovrebbero lavorare in base ad alcuni criteri dettati dallo stesso Cnb e quindi, in linea teorica, secondo criteri comuni, riducendo il rischio di applicazioni diverse, regione per regione, della disciplina sul suicidio assistito. Oltre a questo sono state emanate linee guida tecniche senza un passaggio in Assemblea legislativa.
È prevista la possibilità di “obiezione di coscienza” per il medico?
Le linee guida prevedono che il suicidio sia assistito solo da medici “volontari” che saranno attivati sulla base di una lista.
Perché avete voluto prendere posizione pubblicamente, come palliativisti Emilia-Romagna, su questa delibera?
Vogliamo difendere i nostri pazienti dal dubbio che chi entra in un hospice possa essere in qualche modo “condotto” al suicidio assistito. L’hospice è fatto per curare, sempre, e la sua peculiarità va difesa. L’iniziativa è partita da me, ma sono stato colpito dal fatto che tutti i medici che operano in questo campo abbiano aderito, anche chi si è sempre schierato per l’autodeterminazione. Credo sia un segnale.
Daniela Verlicchi