Avevo iniziato a riflettere su questo importante, almeno per me, argomento: la capacità di muovere le persone su un obiettivo condiviso. Poi in questi giorni sta emergendo un comportamento a dir poco sconsiderato, se non penalmente rilevante, dei dirigenti della società di calcio A.S. Roma: visto che – al momento – l’allenatore Daniele De Rossi non è coinvolto nella brutta storia di cui molti parlano, mi sembra che le riflessioni valgano comunque, al di là dei comportamenti di alcuni tesserati e dirigenti della società. Ho sempre amato il calcio e vedere le partite in televisione mi ha sempre appassionato. Da qualche anno ho abbandonato l’ambiente televisivo, da quando occorre essere abbonati ad almeno tre piattaforme per guardare le partite di maggior interesse e anche perché ormai ogni orario è buono: a pranzo, a cena, dopo cena.
I fenomeni legati alla visione di gioco, al senso di fare squadra, all’intreccio delle individualità con la missione collettiva, invece, mi hanno continuato ad appassionare. Un recente avvenimento mi sembra particolarmente interessante e meritevole di qualche riflessione: il cambio di allenatore della Roma, l’evoluzione dallo stile di José Mourinho a quello di Daniele De Rossi, il
passaggio dal capo assoluto al leader del gruppo. Il miglioramento delle prestazioni dei singoli dopo l’avvicendamento sulla panchina dei giallorossi ci ricorda che oggi chi vuole essere un leader di successo, nei vari ambiti della vita, deve andare oltre al fatto di saper dare ordini.
Josè Mourinho, uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio, ha costruito parte delle sue fortune oltre che sulla grande capacità di costruire e gestire la tattica calcistica – anche per uno stile di gestione delle sue squadre molto particolare. Il portoghese era un leader che, in maniera scientifica e programmatica, cercava costantemente di catalizzare su sé stesso tutte le attenzioni, negative o positive che fossero. In ogni campo l’allenatore portoghese apriva ogni giorno una nuova battaglia all’arma bianca
contro gli interlocutori di turno. Con l’avvento di Daniele De Rossi, non c’è stato solo un cambio tattico: è entrato in campo uno stile di leadership e comunicazione diametralmente opposto. Mentre il suo predecessore impiegava gran parte delle sue conferenze stampa a raccontare quanto fossero scarsi i suoi calciatori (per sottolineare i miracolosi risultati che lui stava ottenendo), De Rossi ha scelto una direzione opposta.
In ogni occasione De Rossi ricorda il curriculum dei suoi atleti, magnifica le loro capacità di stare in campo ed esalta il valore complessivo del gruppo, arrivando a decantare calciatori che, fino a qualche settimana fa, erano pubblicamente additati come simbolo dell’incapacità di giocare a calcio. Per completare l’opera, De Rossi è sempre attento a dividere le responsabilità per gli errori – se li accolla lui – con i meriti delle vittorie, che attribuisce sempre ai propri calciatori.
Questo cambiamento di gestione è interessante non solo dal punto di vista strettamente sportivo. I gruppi di lavoro, che si tratti dello sport professionistico o della vita di tutti i giorni, sono difficili da gestire, coordinare e motivare. Spesso prevale l’idea che bisogna dirigere le persone, senza preoccuparsi di coinvolgerle.
Il clamoroso impatto di Daniele De Rossi sulla panchina della Roma avrà ragioni tecniche, ma dipende anche dal fatto che il giovane allenatore ha capito che quello stile di gestione non è più adatto all’attuale contesto. Chi vuole essere un leader di successo oggi, nello sport e nella vita, deve andare oltre al semplice dare ordini. Le persone devono essere convinte, motivate e responsabilizzate: risultati che si possono ottenere solo usando leve diverse dalla semplice autorità.


Tiziano Conti