Come ti chiami? Una domanda semplice, la prima che si fa a qualcuno quando ci si presenta per la prima volta. Eppure, se non si conosce la lingua di chi ci si trova di fronte, diventa la domanda più difficile del mondo. Presentarsi, raccontarsi, stringere relazioni, si impara a scuola. Lo sanno bene i ragazzi e le ragazze della Penny Wirton, la scuola di italiano per stranieri fondata dall’insegnante e scrittore Eraldo Affinati, di cui è stata aperta una sede a Faenza nel 2017 da Gloria Ghetti, docente di storia e filosofia al liceo Torricelli Ballardini. Una scuola speciale, in cui tra insegnanti e alunni si instaura un rapporto uno a uno, di relazione vera. A insegnare sono da qualche anno oltre ai volontari gli studenti del liceo che svolgono questa attività nelle ore di alternanza scuola lavoro.
All’Ic Matteucci oltre il 50% di alunni stranieri di prima e seconda generazione
Da quest’anno però la Penny Wirton ha vinto un bando regionale per un nuovo progetto, dentro le scuole, in atto da ottobre a maggio. Si tratta di lezioni di italiano in orario extrascolastico, due giorni a settimana al pomeriggio per dieci ragazzi delle medie e ogni sabato mattina per 17 bambini delle elementari. L’Istituto Comprensivo scelto per questo progetto è il Matteucci, che comprende ben cinque scuole, tra Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado, e che presenta il maggior numero di studenti stranieri, di prima o seconda generazione, delle scuole faentine superando abbondantemente il 50%. «I ragazzi sono molto contenti di questa iniziativa. – dice Maria Grazia Foschini, insegnante referente per gli alunni stranieri del Matteucci – Una delle fatiche principali per noi insegnanti è quella di dover fare i conti con risorse che non bastano; spesso riusciamo a fare delle full immersion come attività di recupero ma non è sufficiente. Il nostro istituto presenta, anche per via dello stradario in cui si trova, il numero più alto di studenti stranieri – siamo ben oltre il 50% anche se il tetto massimo previsto sarebbe del 30% – di cui però moltissimi di seconda generazione, per i quali la lingua non è di certo un problema. Ad avere un marcato svantaggio linguistico e quindi il riconoscimento del Bes (bisogni educativi speciali, n.d.r.) sono in tutto 90 bambini e ragazzi. Un numero alto che richiede importanti risorse. Soprattutto quando si parla di alunni che entrano a scuola in corso d’anno, per gli insegnanti è difficile sopperire alle difficoltà linguistiche che vanno da problemi urgenti prettamente legati ad esigenze comunicative dei propri bisogni fino alla necessità di conoscere bene il linguaggio per poter studiare».
Alle medie e alle elementari
Un percorso continuativo che accompagnerà i 27 alunni del Matteucci fino a maggio e che a poco più di un mese dal via lascia già vedere i primi frutti. «L’idea che ci muove nelle nostre lezioni è quella di dare ai ragazzi più strumenti possibili – spiega Catherine Lowe, laureata in Lettere classiche, impegnata a seguire i ragazzi delle medie insieme Virginia Galignani. – Lavoriamo molto sul farli parlare, ci piacerebbe anche accompagnarli nella scelta delle scuole superiori. Vediamo che già oggi c’è meno la necessità di ricorrere all’inglese per comunicare, mi accorgo che iniziamo a parlare ancor di più italiano». Bella atmosfera anche tra i bambini che fanno lezione alle Pirazzini e alle Tolosano alternativamente il sabato mattina. «L’appuntamento è per ognuno nella propria scuola, poi si va insieme nell’altra scuola con il piedibus. Anche questi momenti sono preziose occasioni di scambio, di dialogo, di educazione civica -aggiunge Clarissa Conti, educatrice sociale, che insieme a Anita Sancisi segue i bambini. – Cerchiamo di essere il più dinamici possibili. A volte si impara molto anche giocando con le parole, con delle piccole recite, con il gioco dei mimi. Vedo che i bambini vengono volentieri il sabato a scuola per quest’attività».
La scuola rende cittadini liberi
Un’occasione di crescita in cui il libro su cui studiare è la voglia di imparare per poter stringere relazioni, per costruire il proprio futuro e scegliere la propria strada. «Penso che sia fondamentale partire dai bambini per lavorare con loro sull’integrazione. Siamo tutti interculturali oggi e i bambini che crescono qui devono avere la possibilità di partecipare ai problemi e alle situazioni del Paese in cui vivono», dice ancora Clarissa, ricordandoci la verità più profonda della scuola nel suo essere istituzione, nel suo essere espressione della Costituzione: la scuola ci rende cittadini liberi. E la lingua è il primo strumento con cui esercitare la nostra libertà.
Letizia Di Deco