Discrimen è una parola latina che significa limite, linea di demarcazione che separa due spazi rendendoli uno inaccessibile all’altro. È una parola un po’ complicata, ma se pensiamo al vocabolo italiano discriminazione il significato appare chiaro a tutti e l’idea di limite si concretizza nella nostra mente costellata di esempi, molti dei quali sicuramente ricondurranno a questioni di genere. Ancora oggi. Tutti provano indignazione di fronte a episodi tragici che riempiono i giornali, eppure le cose non cambiano. Forse la Storia non ha ancora fatto abbastanza, forse si è incapaci di comprendere cosa sia giusto da cosa sia sbagliato. Allora compito sempre più importante è quello di chi deve insegnare a discernere il bene dal male, l’uguaglianza dalla discriminazione. Riecheggia già in queste poche righe una parola: scuola. Parola che sta a indicare le fondamenta di uno Stato, parola che grammaticalmente è un nome comune di cosa, femminile e singolare: è una sola la strada per crescere e costruire una società giusta.
Pari Opportunità: a parità di punteggio favorito il genere meno rappresentato
È uscito in questi giorni il bando del prossimo concorso straordinario ter per gli insegnanti delle scuole secondarie e tra le tante polemiche che toccano il corpo docente precario, appare in modo velato, quasi silenzioso e dimesso, il vincolo per cui, a parità di punteggio in graduatoria, sarà favorito il genere meno rappresentato nella pubblica amministrazione, ovvero il genere maschile. Lo stesso criterio si applica anche nel concorso per dirigenti scolastici. Si tratta di una norma stabilita dall’ultima riforma in ambito di Pari Opportunità, la quale prevede che nei bandi di concorso nelle pubbliche amministrazioni debba essere indicata la rappresentatività dei generi calcolata al 31 dicembre dell’anno precedente. Se la differenza tra i due generi è pari al 30%, nello scorrere le graduatorie dovrà essere scelto a parità di punteggio il candidato del genere meno rappresentato, che nel caso dell’istituzione scolastica è quello maschile.
La scuola è donna proprio perchè insegnare è uno dei mestieri più difficili al mondo
Che la scuola sia donna non è scritto da nessuna parte, anche se forse è una verità. Sono molte le insegnanti, maestre e professoresse, che lavorano con i nostri ragazzi e le nostre ragazze. Come mai? Perché molte di loro sono madri e hanno bisogno del pomeriggio libero? Perché a scuola si lavora di meno? Perché è più facile? Chi crede questo non ha chiaro nulla e probabilmente la scuola è donna proprio perché quello di insegnare è uno dei mestieri più difficili al mondo, come essere madre è un compito tanto complesso quanto essenziale. A scuola si lavora molto più che in tanti altri settori e la scuola italiana è retta proprio dai tanti e dalle tante docenti che lavorano il quintuplo di quello per cui ricevono lo stipendio, indipendentemente dal valore che esso abbia. Ci si pone allora una domanda: come può un Paese dire di credere nel futuro delle nuove generazioni se pone come valore il fatto di essere uomini o donne nella formazione dei suoi insegnanti, se non premia la competenza, ma ostacola nuovamente le donne fingendo di riconoscere parità? Chissà quanti film e quanti libri dovranno essere ancora scritti – e soprattutto letti – prima di avere una risposta a questa domanda. Chissà quando non avrà più senso neanche porsela. Chissà quando non capiterà più di sapere già il finale di una storia che è sempre tragica se ha per protagonista una donna. Oggi sembra che sia tutto come ieri, ma sappiamo che “c’è ancora domani…”.
Letizia Di Deco