Sempre caro fu il mese di novembre a don Alfredo Zini cotignolese e rettore del Seminario di Faenza, un autentico letterato, laureato a Bologna con Francesco Flora. Era nato il giorno 12 dell’anno 1921 e deceduto il 23 nel 1973. Colgo nuovamente l’occasione della ricorrenza cinquantenaria della scomparsa per delineare attraverso una silloge poetica il sentimento suscitato dall’autunno come metafora esistenziale. Veramente don Zini canta i diversi mesi dell’anno con il fascino del variare delle stagioni: la vita che fiorisce, le fatiche per coltivare la terra, le memorie paesane di un tempo.

Una visione lirica dell’arte

Nel suo fraseggiare rifugge da caramelloso sentimentalismo, anche se le assonanze pascoliane e maggiormente del Foscolo, e più ancora dei poeti ermetici le sentiamo sottese. Non è mia intenzione entrare in una disanima critica ed estetica, quanto suggerire un desiderio di gustare la sua poesia. Prima di presentare alcuni testi novembrini“, penso sia opportuno anticipare qualche poesia che, indipendentemente dal mese, descriva la ricca poliedrica personalità culturale e spirituale di don Zini, come l’ansia religiosa, la fede e la giustizia sociale, la visione lirica dell’arte, nel fascino della estetica crociana, la dimensione universale della Chiesa del Concilio, l’onestà del vivere al di là degli steccati clerico/sacrali.

Prete

Sei la coscienza/ dell’infermità dell’uomo,/ l’eco del suo rimorso./ Sei il diagramma della sua sete di vivere,/ della sua fame di gioia./ Sei il fratello dei vinti,/ dei paria, dei poveri,/ dei Sisifi senza speranza./ Tu prolunghi nel tempo la buona novella./ Tu ripeti parole/ che portano in terra lembi di cielo,/ parole che accendono parole di speranza/ nel cuore ferito degli uomini./ Tu ripeti il liturgico gesto/ che di pane e vino/ frutto della terra e del sudore umano/ fa corpo del Signore/ e rinnova fra noi/ Natale Pasqua e vita eterna./ Tu stesso non sai/ quale mistero porti/ nella trama segnata/ da Dio/ sulle strade che salvano l’uomo.

Salmo per il 1° maggio

Signore, aiutami a soffrire/ le lotte dell’uomo/ per l’uomo/ senza disperarmi./ Lo so, devo stare coi deboli,/ devo schierarmi coi perseguitati/ per amore di giustizia…/ mi insegnasti la misericordia./ Aiutami, liberami/ dall’odio e dal maligno,/ ma fammi soffrire coi deboli/ ma fammi stare dalla parte/ dei perseguitati per amore di giustizia.

Lo strettissimo legame del poeta con i genitori scomparsi lo porta a vivere le ricorrenze di novembre con un nostalgico ricordo, in una assonanza dannunziana.

I miei morti

I miei morti oggi sono tornati/ nella Messa anche oggi./ Mio padre pensoso e sereno come sempre,/ mia madre delicata e sorridente./
Nel memoriale di Gesù/ morto e risorto/ li ho visti vivi/ forse ancora trepidanti per me/ nell’attesa del giorno/ che anch’io entrerò/
nella gioia che non sa di morte

Una dolorosa malattia ai polmoni lentamente sfibra il poeta che nei ricoveri ospedalieri vede lo specchiarsi di sé nella natura novembrina.

Novembre

È sceso novembre piovoso/ triste e uggioso./ Muore il colore./ Si distende sulla Val Padana/ fredda la nebbia a far/ umida l’aria e insidioso/ il transito. Riporterà/ S. Martino la sua breve/ estate di pallido sole?/ Ora l’anima mia ha sete di sole./ Un suono flebile di campana/ solitario taglia la nebbia/ La voce insolita ha sapore di morti

Il giorno dei morti

Tornano i morti/ silenziosamente nelle loro/ case. La nostra è vuota:/ io sono in ospedale./ Poveri morti miei,/ venite ancora: ritornerò,/
la dolcezza riportatemi/ dei vostri volti. / La casa è come prima./ Mamma, ricordi quando/ facevi le favette dei morti,/ quando andavamo a recar/ fiori sulla tomba del babbo e dei nonni?/ Sono rimasti solo/ a portare il peso/ della vostra morte./ Nel colloquio con voi
ritrovo lacrime e quiete./ Riposate in pace,/ poveri morti miei.

Avviandomi alla conclusione, riporto un brano dedicato alla Liturgia, in cui il poeta in un estasiato trasporto, vive la dimensione spirituale di cuore a cuore con i Santi. Soffusa speranza, fede vigorosa, testimonianza viva di un reale sacerdozio.

Vigilia dei Santi

Vigilia dei Santi, serena/ sera che di lieve/ nebbia ti copri, in tenue/ luce di colori,/ mi consoli il cuore./ Placasi nella tua calma/ crepuscolare novembrina/ la grande natura,/ mentre nell’anima/ stanca scendono vive/ le memorie care./ Riascolto nel silenzio/ la parola del profeta:/ Vidi turbam magnam…/ Radunata nella realtà divina/ la grande folla dei Santi./ Furono uomini come noi,/ vissero la nostra esperienza,/ piansero gioirono lottarono/ come noi, camminarono/ per le nostre strade/ gomito a gomito con noi/ nella luce di Dio/ e nell’amore del prossimo./ Sono in ospedale, ma celebro/ il Gaudeamus omnes in Domino…/ con intensa commozione./ Mi sento in comunione/ viva con la Chiesa universale.

Dante Albonetti