Quando ho lasciato il lavoro per la pensione ho scritto una mail a tutti i colleghi, per lasciare un segno dei tanti anni trascorsi insieme. Più o meno ho scritto: “Ho vissuto anni fantastici, accanto a persone straordinarie. Di mio posso dire che ho avuto tanti sogni e, spesso, i miei errori sono stati più grandi di loro, ma porterò sempre nel cuore l’esperienza che oggi concludo”. Avere dei sogni, lottare per dar loro un corpo: questo ci insegna spesso anche lo sport. Steven Bradbury è un pattinatore australiano su ghiaccio.

La storia di Bardbury

A 21 anni nello short track vince il bronzo nella staffetta 5 mila metri ai Giochi invernali di Lillehammer ’94 e poi ci aggiunge tre medaglie mondiali. Ma in una gara di Coppa del mondo a Montreal mentre è in testa si scontra con l’italiano Mirko Vuillermin. Una lama gli squarcia l’arteria femorale. Bradbury viene subito soccorso, perde più di quattro litri di sangue, lotta tra la vita e la morte, ma sopravvive. Il taglio è ricucito con 111 punti, la riabilitazione è lunga 18 mesi, ridare tonicità alla gamba sembra impossibile. A 22 anni la sua carriera è segnata, ma lui insiste: ai Giochi di Nagano ’98 arriva ottavo in staffetta, diciannovesimo sui 500 metri, ventunesimo sui 1000. È evidente che non è più competitivo, però non molla. Nel Duemila in allenamento un altro grave infortunio: si frattura due vertebre. Forse è un segnale che gli manda il cielo: è meglio che rinunci ai tuoi sogni. Ma Steven insiste e si qualifica per i Giochi di Salt Lake City 2002. È iscritto a due specialità, non è il favorito: nei 1500 esce al secondo turno, gli restano i 1000 metri, ma anche lì niente da fare, è fuori dalle semifinali, sembra l’addio, invece squalificano un atleta e lui rientra. Nella gara successiva cadono in tre e un altro viene espulso: Steven è in finale. Parte la gara, lui è in difficoltà, arranca, ultimo dopo i primi giri. Poi anche il buon Dio deve essere rimasto edificato dalla costanza di Steven. Capita tutto all’ultima curva: il cinese perde aderenza nel tentativo di sorpassare l’americano che cade trascinando con sé anche gli altri due. Vanno giù tutti come birilli. Poi arriva Steven Bradbury, mani al cielo e medaglia d’oro al collo.
Lui diventa l’ultimo uomo rimasto in piedi. Dirà con onestà: “Non ero il più veloce e non penso di aver vinto la medaglia con il minuto e mezzo della gara, ma dopo un decennio di calvario”. È il primo titolo olimpico invernale per l’Australia che a Steven dedicherà un francobollo e un modo di dire “doing a Bradbury” (fare un Bradbury) per indicare un successo clamoroso e inaspettato.
Oggi è il produttore di un brand di birra lager australiana, che è diventata ben presto un successo, nata dietro la storia della sua amicizia con Roy, scomparso nel 2010. Con i suoi figli stanno producendo la miglior lager del paese, in segno di amicizia e nel ricordo di Roy. Il nome della birra richiama i trascorsi sportivi di Steven e ritorna a quel febbraio 2002: “Last Man Standing”, ovvero “L’ultimo uomo in piedi”.
Cercare di realizzare i nostri sogni aiuta a vivere.

Tiziano Conti