Domenica 22 ottobre alle 19 nella cappella superiore del Seminario diocesano (viale Stradone 30) nel corso dei Vespri presieduti dal vescovo Mario Toso, ci sarà l’ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato di Matteo Cattani. Nato a Faenza, 25 anni, presta servizio nella parrocchia di San Michele a Bagnacavallo.

Matteo Cattani: “sentieri interrotti che all’improvviso vengono riaperti”

Matteo, che emozioni provi nell’avvicinarti a questo momento?
Sono contento e nei giorni che passano c’è sempre qualcosa che mi stupisce. Mi meraviglia vedere come tanti accolgono con gioia la notizia dell’ammissione e rispondono con la preghiera. È la Chiesa, la famiglia di Dio da cui impariamo come ricevere i doni del Signore. L’ammissione agli ordini dice un già e non ancora, un po’ come nelle stagioni della campagna; si vede l’Agricoltore all’opera nel suo campo, con speranza si attendono i frutti non ancora sui rami, si gode già dei fiori tra i filari profumati.

Da dove nasce la tua vocazione?
In famiglia da bambino ho imparato a pregare, in modo maldestro a parlare a quel Dio che ci ha fatti e ci chiama all’amicizia con lui. Sono cresciuto nella parrocchia di San Domenico dove i padri domenicani davano testimonianza di vita comune spesa per la gente e ho frequentato l’Agesci, memoria timida e costante dell’appartenenza alla Chiesa. Qualche figura ha inciso in modo singolare nella mia vita; una monaca di Faenza consumata come una candela per fare luce, un paio di preti della nostra diocesi tutti dediti ad accompagnare gli altri a Gesù, i miei genitori e i miei nonni per il loro coraggio nelle scelte definitive, gli amici stretti che si sono presi cura di me e mi hanno fatto sentire di non essere solo. Il Signore usa tutto di noi, i talenti e le ferite; anche quello che stimiamo più vile è spazio per la sua grazia, pieghe della storia dove non si dimentica di preparare una strada in cui seguirlo.

In che modo la Chiamata di Dio arricchisce la tua vita?
La ricchezza più grande che ritrovo fra le mani sono i ragazzi conosciuti nelle parrocchie. Qualcuno di loro, schivo all’inizio, si rivela poi un bravo educatore, e questa è una grande gioia, qualcun altro, senza che si sappia, cura la preghiera, c’è poi chi ha un altro ruolo essenziale: amalgamare il gruppo. In tutti la sequela di Gesù cambia molte cose. Come in un gioco di sguardi; ci sentiamo guardati da lui e si rinnova lo sguardo che abbiamo verso il mondo. La vita si arricchisce di volti, si sperimenta la salvezza nei luoghi che più ci mettevano timore, i nostri fallimenti, le morti piccole e grandi di ogni giorno splendono, infine, della luce della Pasqua. Credo che sia questo la chiamata: i sentieri interrotti che d’improvviso vengono riaperti.

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“Il Seminario è luogo di incontro”

Ci apprestiamo a celebrare i 70 anni dalla fondazione del Seminario diocesano. Che significato ha per te questo luogo?
Sono una cifra importante, una storia di grandi cambiamenti dove si è conservata la vocazione iniziale per cui è nato il Seminario, per la formazione dei cristiani e per dare alle comunità i pastori. Al Seminario sono molto legato. In questi anni sono aumentati quelli che lo frequentano per ragioni di studio, di lavoro, di preghiera, di vita insieme; gomito a gomito ci si impegna per crescere nella fede e coltivare la Chiesa. Lo abbiamo ricevuto e lo custodiamo per chi ci sarà dopo di noi; siamo chiamati a volergli bene perché sia una casa aperta a ogni giovane alla ricerca di sé e alla ricerca di Dio.

Quali sono le esperienze più significative che hai vissuto in Seminario?
Sono molte. Nella recente alluvione i seminaristi e i propedeuti si sono dati da fare nei quartieri più danneggiati, anche venendo a Faenza da lontano. In quella occasione ci siamo sentiti vicini e stretti dalle difficoltà che stavamo attraversando, quelli tra noi alluvionati e quelli “asciutti”, accomunati dal bisogno della nostra città. Significativa è stata l’accoglienza nelle parrocchie dove ho fatto servizio (S. Marco, S. Maria Maddalena, Alfonsine e Bagnacavallo), l’incontro con i parroci e con i ragazzi, specialmente nei campi estivi, e il legame che si creava con loro. In Seminario spesso si scoprono gli eventi più significativi nella quotidianità. È il tempo con gli altri, l’incontro tra caratteri diversi, la comunità la sfida più grande che affrontiamo. Tutto il resto si impara, la vita insieme tocca invece il più profondo di noi, ci interpella, l’altro ci fa conoscere come in uno specchio. Sono riconoscente ai compagni di cammino, a volte per le faticose fratellanze, a volte per le amicizie profonde di cui mi hanno fatto dono. La Chiesa nasce dove si cerca di rispondere alla Parola del Signore e alla sua chiamata, le persone non si scelgono a vicenda perché si trovano simpatiche, ma si accettano l’un l’altra perché il Signore le ha poste a camminare insieme. Così è anche in Seminario.

Samuele Marchi