L’8 settembre ricorrono ottanta anni dall’armistizio con il quale l’Italia si arrese agli Alleati e diventò loro co-belligerante contro l’esercito nazista. Viene generalmente ricordato come l’armistizio dell’8 settembre 1943 perché fu in quel giorno, alle 19:45, che il testo dell’armistizio venne comunicato agli italiani attraverso l’EIAR, l’ente italiano per le audizioni radiofoniche. Mezz’ora prima il generale americano Dwight D. Eisenhower, che poi sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti, aveva annunciato l’armistizio attraverso Radio Algeri.

L’armistizio

Il documento, era stato firmato a Cassibile, in Sicilia il 3 settembre, che sancì l’armistizio iniziava con queste parole: “Le seguenti condizioni di armistizio sono presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate il quale agisce per delega dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e nell’interesse delle Nazioni Unite, e sono accettate dal maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo italiano”. Non furono però Badoglio e Eisenhower ad apporre la firma sotto al documento, ma il generale di brigata italiano Giuseppe Castellano e Walter B. Smith, generale americano, capo di Stato maggiore. Tra il 9 e il 10 luglio 180mila soldati inglesi, statunitensi e canadesi erano sbarcati in Sicilia con l’operazione Husky. Il 22 luglio fu conquistata Palermo, a metà agosto Messina, da cui sarebbe dovuta partire la conquista successiva del continente. Intanto proseguivano i bombardamenti in tutta Italia. Il 19 luglio 662 bombardieri scortati da 268 caccia colpirono Roma con 4mila bombe. Solo nel quartiere di San Lorenzo, il più colpito, ci furono 3mila morti, 10mila case furono distrutte: l’unica autorità che si presentò tra le macerie fumanti fu Papa Pio XII, di cui è famosa la foto a braccia aperte davanti alle devastazioni, scattata il 13 agosto, dopo il successivo bombardamento nel quartiere di San Giovanni.

Pius XII with Roman people in Piazza San Giovanni 1943

L’azione dei tedeschi e di Vittorio Emanuele III

Fin dai primi mesi del 1943 Vittorio Emanuele III, re d’Italia, aveva cercato un contatto con gli Alleati chiedendo anche l’aiuto del Vaticano, e in particolare di monsignor Giovanni Battista Montini, che sarebbe diventato poi papa Paolo VI. Allo stesso tempo erano stati avviati contatti con alcuni gerarchi fascisti per arrivare a una destituzione di Benito Mussolini e instaurare un governo che fosse diretta emanazione della monarchia. Fu Dino Grandi, durante la seduta del 25 luglio del Gran consiglio del fascismo, a presentare l’ordine del giorno che destituì Mussolini. Dopo la caduta e l’arresto di Mussolini, i contatti tra il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, e gli Alleati
si intensificarono. Ci furono incontri che culminarono con quello di Cassibile. L’armistizio venne firmato nella tenuta della baronessa Liliana Sinatra Grande. In fondo alla pagina era scritto: «Il testo in inglese sarà considerato quello ufficiale». Già dal 25 luglio i tedeschi avevano un piano pronto nel caso l’Italia si fosse arresa agli Alleati. Mezz’ora dopo l’annuncio diramarono a tutti i comandi la parola convenzionale Achse (Asse), in base alla quale tutti i centri nevralgici del territorio italiano avrebbero dovuto essere occupati.
I tedeschi erano quindi pronti, mentre gli italiani, nonostante i vertici di governo e militari avessero avuto cinque giorni dalla firma dell’armistizio per preparare un piano, non lo erano affatto. Gli ordini furono contraddittori e confusi, l’esercito in pratica si dissolse.
All’alba del 9 settembre il re, invece di organizzare la resistenza all’avanzata tedesca, fuggì da Roma. Con la moglie Elena, il figlio Umberto, il maresciallo Badoglio e pochi altri lasciò la città a bordo di tre auto lungo la via Tiburtina. Alla fine il re e gli altri si imbarcarono a Ortona, in Abruzzo, e raggiunsero Brindisi. Qui Vittorio Emanuele III riprese le sue funzioni, ma sempre sotto il controllo del comando Alleato. Una pagina di storia italiana tra le meno onorevoli; ci può ricordare che di fronte al dolore e alle difficoltà mantenere la propria dignità è un segno distintivo della propria umanità.

Tiziano Conti