A dieci anni dalla sua dipartita, come non ricordare con profonda stima e affetto umano una figura che tanto ha inciso sulla vita religiosa e sociale di questa città. Nei suoi quattordici anni di episcopato sono stati tantissimi, quasi giornalieri, i momenti di incontro improntati alla collaborazione e alle tematiche inerenti lo stato dei Beni culturali, di proprietà della diocesi, cercando di trovare le soluzioni migliori volte al loro recupero e alla loro giusta valorizzazione.

“Pastore e restauratore di coscienze”

Tanta era la preoccupazione che lo aveva colto al suo arrivo in città nel 1997, a pochi giorni da disastroso sisma che aveva colpito l’Umbria e le Marche, interessando moltissimi edifici religiosi, già per altro in condizioni precarie, se non disperate. Con grande stanco umano, dimostrandomi il suo apprezzamento professionale e concedendomi la sua fiducia, volle che collaborassi con l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi, nel quale fino all’anno 2020, ho ricoperto la carica di Delegato del Vescovo per i rapporti con le Soprintendenze. Grazie al suo senso innato di umiltà, ma anche di estrema fermezza nelle decisioni, riuscì a stabilire ottimi rapporti con le istituzioni dello Stato, avviando con esse una continuativa e fattiva collaborazione. Ottenendo così importanti risultati nel recupero di moltissime opere che hanno contribuito a valorizzare Ascoli e la sua Diocesi, e di cui si vedono i frutti ancora oggi. Disponibile al dialogo sincero e aperto, e senza partigianerie, quando lo incontravo pe ala rendicontazione la mattina presto nel giardino dell’Episcopio, immerso nella meditazione, mi apostrofava amichevolmente: “Signor architetto, prima mi faccia finire le orazioni. Si ricordi che prima di essere costruttore e restauratore di monumenti e opere d’arte, devo essere innanzitutto pastore e restauratore di coscienze”.

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Sempre soddisfatto dei risultati ottenuti

Ha sempre voluto seguire personalmente i lavori in corso d’opera e, conoscendo profondamente l’animo umano, sorprendeva piacevolmente gli operai con la sua improvvisa e inaspettata visita nei cantieri dove, con grande spirito di familiarità li incoraggiava con parole semplici e sagge, sottolineando l’importanza del loro lavoro e ringraziandoli per quello che stavano realizzando. Aborriva l’adulazione, i sentimenti di invidia e la maldicenza, e da uomo saggio e curioso qual era, non si accontentava mai del parere di una sola persona. Amava approfondire e conoscere nei particolari qualsiasi iniziativa venisse intrapresa, nel mio caso nel campo delle arti, impegnandosi spesso a trovare personalmente i fondi necessari per i numerosissimi intervento di restauro. Alla fine era sempre soddisfatto e grato per i risultati ottenuti e felice di restituire alla comunità opere che, o dimenticate o danneggiate dal tempo e dall’incuria degli uomini, lui considerava soprattutto testimonianze vive di fede e cultura cristiana.

Attento all’arte anche nei periodi di malattia

Anche nei periodi di malattia, quando il dolore lo attanagliava, ha conservato sempre con grande dignità umana e spirito paterno, la disponibilità al colloquio e al confronto, senza risparmiarsi mai da buon romagnolo, e lavorando anche in maniera più intensa cercando di portare a termine i suoi obiettivi. Una dote che lo ha caratterizzato, è stata la volontà di valorizzare al massimo e mettere in risalto tutto quello che avevano realizzato i suoi predecessori, opere relegate nell’oblio degli uomini. Al contrario, non voleva che si lasciasse esplicita memoria  di quanto da lui operato, e quando ciò avveniva su iniziativa di altri, lo accettava con grande ed esplicito senso di disagio. Sintomatica è stata nel 2006 l’occasione del radicale intervento di consolidamento, restauro e allestimento del secondo piano del palazzo vescovile, che dopo quell’intervento è tornato a essere un edificio di grande prestigio e un contenitore di numerose e importanti opere d’arte, che lui non aveva voluto abitare, ma che come affermava, aveva fatto realizzare per “ricordare i suoi antichi predecessori e per dare una degna dimora ai suoi successori”. In quell’occasione si è prodigato con passione e impegno nel recupero  delle collezioni d’arte lasciate nel XVIII secolo dal vescovo Pietro Paolo Leonardi e, nel XX dal vescovo Ambrogio Squintani, costituendo così nel Palazzo una raccolta unitaria di opere d’arte che aspirava a rendere visibile a tutti, sia fisicamente xche attraverso una pubblicazione organica come quella che aveva fatto realizzare sulla cattedrale di Ascoli per rendere omaggio alla cultura e all’amore per l’arte che avevano avuto i suoi due predecessori. Su tutto mi sembra doveroso ricordare la sua grande onestà intellettuale e la sua profonda gentilezza d’animo racchiusa, qualche volta, in un carattere brusco. A proposito del periodico della diocesi, La Vita Picena, sul quale scrivo ormai dal 2010, che non mancava mai di leggere, mi manifestava sempre il suo apprezzamento incoraggiandomi. Affermava che quegli articoli servivano per far conoscere a tutti il nostro grande e importante patrimonio culturale e la loro testimonianza di fede. Grazie eccellenza per la fiducia che mi ha sempre accordato e per i sentimenti di stima e di amicizia che mi ha sempre dimostrato

Michele Picciolo