Per festeggiare l’Assunzione della Madonna, lo scorso 15 agosto si è svolto il pellegrinaggio diocesano a piedi al Santuario di Ghiandolino partendo da Riolo Terme. Questo gesto di devozione popolare è stato proposto da Comunione e Liberazione alla Diocesi e in particolare a tutti coloro che desiderano pregare la Madonna e chiedere a Lei aiuto e protezione. La partecipazione è stata notevole e il numero dei pellegrini ha eguagliato le edizioni precedenti. L’evento ha avuto inizio alle 5.45 nella chiesa di Riolo Terme con la lettura del telegramma Pontificio e la Benedizione Apostolica di sua Santità Papa Francesco. Subito dopo la Santa Messa è stata celebrata dal vescovo di Imola, monsignor Giovanni Mosciatti, a cui gli organizzatori sono veramente grati per tale vicinanza e paternità.

Al termine della celebrazione don Leonardo Poli di Lugo ha offerto la sua testimonianza sull’esperienza vissuta durante l’alluvione. Alle 7 i pellegrini sono partiti per raggiungere il Santuario di Ghiandolino, distante otto chilometri. Attraversando le colline imolesi hanno recitato il rosario per le intenzioni di preghiera inviate nei giorni precedenti agli organizzatori, mentre alcuni sacerdoti si sono resi disponibili per le confessioni. A metà percorso i pellegrini hanno sostato presso l’azienda vinicola Tre Monti dove hanno ascoltato la testimonianza di suor Maria Rosa delle Piccole Suore di Santa Teresa di Gesù Bambino di Imola, di cui quest’anno ricorrono i cento anni di fondazione. Il pellegrinaggio ha raggiunto alle 10.30 il Santuario e, dopo l’omaggio all’immagine della Madonna e il canto Salve Regina, Lidia Quarantini ha raccontato la sua esperienza alla Gmg di Lisbona. Infine la recita dell’Angelus e un canto alla Vergine hanno concluso il pellegrinaggio mariano.

Flavio Babini

La testimonianza di don Leonardo Poli

Ciò che è accaduto in Romagna in maggio è stato un dramma epocale, non una tragedia, perché non ha vinto la disperazione: nel dramma abbiamo visto un’onda di bene che sta segnando la nostra vita, quella della nostra comunità e dell’intera città di Lugo.

Quando il 16 maggio, prima di dormire, mi è arrivato un video che faceva vedere una zona di Faenza dove l’acqua era arrivata al terzo piano e dalle case, senza luce, venivano voci disperate mi sono detto: “Stanotte non si può dormire, bisogna pregare e vegliare” per cominciare a giudicare e capire cosa il Signore volesse dirci attraverso quel che stava accadendo.

Nella notte tra il 17 e il 18 maggio senza nessun preavviso, l’acqua è giunta anche a Lugo devastando appartamenti al piano terra e mettendo fuori uso tante auto.

La mia chiesa non è stata raggiunta dall’acqua e quindi avrei potuto starmene chiuso nel mio ufficio, ma fin dal primo momento sono uscito per strada, prodigandomi a portare viveri a famiglie bloccate ai primi piani e coinvolgendo chiunque incontravo.

Dal giorno seguente il mio centro operativo è diventato il palazzetto, dove la Croce Rossa e la Protezione civile avevano allestito un punto di accoglienza per 300 evacuati. Poiché potevano contare su poche persone, hanno iniziato a rivolgersi a me per ogni richiesta, dalle coperte alle lenzuola per le brandine, dagli alimenti alle sigarette. Allora ho chiesto ai giessini (i giovani di Gioventù Studentesca n.d.r.) di venire al Palazzetto a dare una mano. I maturandi per dieci giorni hanno sospeso gli studi e giorno e notte hanno coordinato ogni aspetto: la segreteria, le pulizie, la distribuzione dei pasti, cambiare gli anziani che non potevano andare in bagno, far giocare i bambini e cantare alla sera… uno “spettacolo” che ha interrogato e provocato anche diversi operatori.

Appena l’acqua ha iniziato a defluire, le persone sono scese nelle strade e hanno iniziato ad aiutarsi. L’estraneità di tanti anni è stata spazzata via dal desiderio di aiutare l’altro, fosse un vicino o un amico, ma spesso anche persone sconosciute. Può sembrare un paradosso, e certamente lo è: di fronte all’alluvione abbiamo visto uno spettacolo di gratuità e si è potuto parlare di letizia e di pienezza. L’esigenza di salvare le cose care è stata accompagnata dal desiderio di felicità, cercando di aiutare l’altro. Abbiamo sperimentato che ci fa bene aiutare l’altro, che ci realizziamo nel rapporto con l’altro, perché siamo FATTI E VOLUTI. Tutto questo non è scontato. In tante parti è accaduto il disastro ma non ovunque sono accaduti fatti analoghi. Qui abbiamo visto il valore del popolo cristiano in una città, un popolo numeroso che si è formato in questi decenni seguendo anche il carisma di don Giussani.

I tanti che si sono mobilitati, per una esigenza naturale di aiutare chi è nel bisogno, si sono trovati accanto gente mossa dalla fede che ne condividevano le necessità materiali e la domanda di senso che inevitabilmente ogni dramma porta con sé, indicando i tanti segni di bene che stavano accadendo sotto gli occhi di tutti.

Questa presenza, semplice, umile e fattiva, ha percorso e animato tutta la città, come un’onda positiva di bene che è entrata nelle case e nei cuori delle persone, contagiandole. Abbiamo verificato quanto la fede sia ciò di cui abbiamo bisogno per vivere da uomini e farci compagni dei nostri fratelli uomini, sostenendo la speranza di tutti. Lo esemplifico con un fatto.

I locali della mia parrocchia sono ben attrezzati; ogni giorno venivano a pranzare circa 200 volontari. Quell’ora di pausa si è rivelata una benedizione, un’occasione per rifocillarsi ad una buona cucina e scambiarsi esperienze, numeri di cellulare… Tutti venivano volentieri perché in questo luogo si trovavano bene. Un giorno il Sindaco, che veniva tutti i giorni a pranzo in parrocchia, mi ha presentato un deputato. A un certo punto costui mi dice: “Fra pochi giorni si esaurirà quest’onda di Bene”. Io gli ho risposto che occorre l’educazione di un popolo che abbia chiaro il “Fine della vita”, per non dover finire nel nulla, ed è questo il compito proprio della Chiesa: educare il cuore.

Nella nostra comunità ci siamo riscoperti non migliori, più bravi, più generosi ma preferiti e privilegiati, resi più consapevoli che ciò che a noi è stato dato di incontrare è veramente un bene per tutti, atteso e desiderato. A fine maggio, colpito da tutto ciò che avevo visto accadere, attraverso la mia chat ho proposto di scrivere l’esperienza fatta in questo tempo per fare un libro che custodisse una memoria viva del bene sperimentato (Fatti accaduti in Romagna ed. ITACA).