Se n’è andato un anno fa, proprio in estate, il 31 luglio. Ai più giovani, anche appassionati di sport e di basket in particolare, il suo nome probabilmente non dirà molto ed è un gran peccato, perché in un’era in cui si usa, e forse abusa, del termine di “mito” o “leggenda” lui li ha meritati entrambi. Nato nel profondo Sud segregazionista degli Stati Uniti, in Louisiana – correva l’anno 1934 – Bill Russell ebbe l’opportunità e l’intelligenza di sfruttare al massimo gli studi universitari in California, addirittura facendo una scelta che oggi apparirebbe lunare nel mondo degli sport professionistici statunitensi (e non solo), in cui i giovani fanno di tutto per monetizzare al massimo e quanto prima il talento. Pur di poter partecipare alle Olimpiadi di Melbourne del 1956 – che all’epoca erano vietate ai professionisti – rimase a giocare un anno in più all’università. Così facendo vinse un secondo titolo Ncaa (National Collegiate Athletic Association, lo sport universitario americano), trionfò per gli Usa ai Giochi Olimpici e realizzò l’approdo professionistico che gli avrebbe segnato l’esistenza.

I Boston Celtics si assicurarono un giocatore di oltre due metri dinamico come all’epoca nessuno avrebbe mai immaginato e che rivoluzionò il basket: dominando in difesa per un decennio e come perno di un gioco d’attacco veloce e spettacolare mai visto prima. Insieme a lui, nei Celtics, un altro mito del basket, campione olimpico a Melbourne: K.C. Jones. In quegli anni i Boston Celtics diedero vita alla più impressionante ‘dinastia’ del basket e dello sport americano: 11 titoli Nba, di cui otto consecutivi. Gli ultimi due conquistati con Bill Russel da allenatore-giocatore. Ci fu una pallacanestro prima di lui e una dopo. Successivamente un altro giocatore, Larry Bird, ha reso i Boston Celtics conosciuti e indimenticabili in tutto il mondo dello sport.

Bill Russell fu un protagonista dei difficili e formidabili anni delle lotte per i diritti civili, oltre che un colosso sul parquet. Attivista convinto e consapevole, disciplinatissimo e all’occorrenza duro, non nascose mai il suo disagio nei confronti della società di Boston, che lo acclamava durante le partite al Garden e poi faceva di tutto per ignorarlo nella vita quotidiana. Non accettò mai di ricoprire il ruolo del “nero fortunato e strapagato”, pretendendo il riconoscimento della sua personalità, delle sue idee e delle lotte a cui dedicò la vita fuori dal campo. Non smise mai di studiare e approfondire, lasciando una traccia indelebile nella comunità nera e in tutta la società statunitense.

Impeccabile e rigoroso – anche se sempre pronto ad aprirsi nella sua coinvolgente risata – Bill Russell andrebbe studiato approfonditamente da molti dei campioni di oggi, troppo spesso ubriachi di Instagram e look improbabili, ma ben poveri di contenuti extra. Lo sport che fa bene anche al cuore!

Tiziano Conti