Nel mese di luglio del 2023 si è svolto un viaggio missionario di un gruppo adulti che con l’Ami, Amici Mondo Indiviso, è partito per la Tanzania, diretto a Mwanza, sede di missione. Qui il gruppo è stato ospite dello studentato dell’Ami e ha avuto modo di entrare a contatto con una realtà, quella africana, molto diversa e piena di contraddizioni. Ecco il racconto di Sabrina e Alberto.

Sabrina e Alberto: “safari vuol dire viaggio

E poi scopri che safari in swahili vuole dire viaggio… non significa come si pensa solamente “tragitto attraverso la savana con lo scopo di cacciare o di osservare animali in libertà”, ma viaggio in senso lato. Un viaggio profondo che ci ha coinvolto, scosso, meravigliato, emozionato. Parlano sussurrano, gridano le giornate trascorse a Mwanza e dintorni, ospiti dello studentato Tumaini Letu in Tanzania.
L’intuizione di mescolare sapientemente in questo safari emergenze naturalistiche di cui la Tanzania è patria – cominciando dal dolce cullarsi di una barca tra le increspature del lago Vittoria, un vero e proprio mare per dimensioni e funzione sociale – e letteralmente fare un bagno nel dolore di un vero e proprio lager di sofferenza quale il campo ex lebbrosi e malati mentali dove si può toccare con mano fin dove l’indifferenza umana può non aver fine.

Le meraviglie del paesaggio tanzaniano

Jeeppare attraverso le piste sconnesse e polverose del Parco Serengeti – infinito e selvaggio territorio – dove l’uomo per un attimo può scendere dal vertice evolutivo in cui si è posto e tornare a ristabilire rapporti ed equilibri atavici e ancestrali ormai perduti. Gustare una colazione condividendo gli stessi orizzonti con zebre, antilopi, bufali come facessero parte del giardino di casa poi, di colpo, scontrarsi con il muro, il confino di recinzioni di reclusioni forzate dei giovani albini tanzaniani costretti a vivere sorvegliati e protetti da guardie per fuggire alla superstizione che li vuole creature “magiche” capaci, se sacrificate, di guarire da malattie inguaribili. Perdersi nel sobbalzare del pulmino a valutare le capacità di equilibrismo delle rocce vulcaniche che sfidando la gravità e che punteggiano il paesaggio tanzaniano sovrastando minacciose casupole, capanne, mercatini fatiscenti dove capisci che la sopravvivenza ha la forma ed il sapore di quattro patate o pannocchie abbrustolite, buste di anacardi, scarpe spaiate e tozzetti di canna da zucchero da succhiare e sputare. Le stesse rocce levigate da un tempo paziente e infinito che non ha forza e misura umana e che trovando il loro culmine sul balcone naturale di Jiwe Kuu il quale, con una vista da apnea, ci regala l’estensione e la caoticità della città di Mwanza.

La riflessione su un’umanità senza scrupoli

Passeggiare all’alba sul bagnasciuga dell’Oceano Indiano confondendo le grida dei pescatori con le urla di chi, fatto schiavo, quella costa l’ha dovuta lasciare forzatamente, aggrappandosi fino allo stremo a quella sabbia che, come la libertà, gli scivolava tra le dita impalpabile.
E, come ultimo gesto, provare ad afferrare una conchiglia dalla quale riascoltare il mare e il rumore di casa una volta lontani. E il pensiero di «cosa siamo stati capaci di fare» ti schiaccia, ti scuote e ti fa sentire colpevole e complice di un’umanità senza scrupoli. Poi, l’umanità ti stupisce e si manifesta nelle figure e nella forza dei missionari di Ami. Capisci il valore di quella mano protesa al contatto senza preclusioni o timori, mani che toccano ferite, che asciugano guance rigate da lacrime che donano conforto in un abbraccio. Mani che prendono le nostre e con forza e semplicità ci hanno accompagnato in questo inatteso “safari”.

Sabrina e Alberto