Questo il colpo d’occhio dopo le due alluvioni del mese di maggio: la montagna, con i segni di ferite profonde nel verde delle colline e nelle strade interrotte; la città, con tante case vuote, ingrigita dal fango polveroso che si sta asciugando lentamente; la pianura, in cui l’acqua non è ancora del tutto defluita; tutti i Comuni della Diocesi colpiti. In queste settimane il vescovo monsignor Mario Toso ha compiuto una visita in questi territori per far sentire la vicinanza della Chiesa alle comunità ecclesiali e civili e per rendersi conto personalmente del disastro, assieme al vicario generale don Michele Morandi. A due mesi dall’alluvione, l’invito del vescovo affinché «nessuno resti solo» continua a essere più che mai attuale.
Intervista al vescovo monsignor Mario Toso
Eccellenza, quali sono le immagini che emergono da queste sue visite nei territori colpiti dall’alluvione?
Nella tragedia che ha ferito le nostre comunità sono emersi tanti segni di speranza. Colpisce l’umiltà della vita della gente che, lontana dai riflettori, sostiene il mondo e la Chiesa, con lavoro, preghiera, amore concretissimo fatto di aiuto e di cura dei più fragili. Colpisce, quasi fosse esaltata da questa tragedia, l’importanza del rapporto con il creato: la gente continua ad amarlo, a curarlo e a proteggerlo, anche mettendo in salvo gli animali domestici, compagni di vita. Colpiscono la sofferenza e la dignità degli anziani che hanno perso tutto, o quasi, che con una prontissima tenerezza si preoccupano di preparare una familiare accoglienza a quanti si recano in visita o cercano ospitalità o di scattare una foto, quasi ad aprire una nuova pagina di bei ricordi perché gli altri sono andati persi. Colpisce la fatica, ancora non del tutto codificata, dei bimbi. Non sono mancate lacrime di commozione nei volti della gente non solo per quanto perso, ma soprattutto per la consapevolezza dell’aiuto ricevuto dai numerosi giovani volontari, vera “alluvione” di amore che ha contribuito a salvare le nostre famiglie e la nostra terra. Le grandi sfide e i grandi ideali non sono lontani dal cuore dei giovani! Vanno stimolati, accompagnati e “iniziati” alla tenuta nel tempo.
Pur nella tragicità, questa alluvione può essere per tutti una ripartenza, un’agenda per il cammino sinodale?
In questo tempo difficile che ha colpito duramente il nostro territorio ci rincuora aver toccato con mano e continuare a vedere ancora oggi i segni concreti di una Chiesa sinodale non solo declamata, ma vissuta. La Diocesi, tramite la Caritas diocesana, ha agito immediatamente, anche grazie alla collaborazione delle Caritas di altre Diocesi italiane (Senigallia, Milano, Trento, Verona, Parma, Reggio Emilia) e di associazioni laicali, come gli scout: vera e propria testimonianza di una comunità ecclesiale che mette in atto il cammino sinodale sul piano della carità e della solidarietà. A questo si aggiunge l’impegno quotidiano delle parrocchie, presidi e luoghi di incontro fondamentali per far sì che nessuno venga lasciato solo.
Quali sono i segni concreti di questa sinodalità?
Prima di tutto l’essere lievito comunitario: fermento originario per tutte le attività. Un segno concreto è rappresentato dalla Caritas diocesana e dalle parrocchie che hanno provveduto a effettuare con i propri volontari e con numerose associazioni interventi di urgenza per liberare le abitazioni da acqua e fango. Sono intervenute e stanno intervenendo a sostegno delle situazioni di fragilità, sia con aiuti economici che con aiuti materiali. In uno scenario complesso e in continuo mutamento come il post-alluvione, per venire incontro a queste crescenti necessità, è stato costituito un hub nei locali di S. Domenico dove sono stati collocati generi alimentari, attrezzature e apparecchi quali idropulitrici, deumidificatori, generatori, aspiratori, riscaldatori, stivali, badili, scaffalature, prodotti per pulizie e igiene personale.
L’emergenza abitativa è uno dei temi che sarà al centro dei prossimi mesi, assieme al lavoro.
Fin dalla prima fase dell’emergenza, la Diocesi ha accolto in proprie strutture e in locali di proprietà ecclesiastica persone, famiglie e comunità, anche grazie alla collaborazione di parrocchie e di enti ecclesiastici.
Ad esempio, il Seminario diocesano sta ospitando due comunità di minori gestite da cooperative nonché la comunità di Santa Chiara costretta a lasciare l’eremo di Montepaolo. Per contribuire a lenire le sofferenze e per concorrere alla ripresa della vita di persone e comunità la Diocesi ha costituito alcune équipe che si occupano di sostegno psicologico e di recupero di unità abitative; ha attivato un canale per inviare richieste di abitazione e per la messa a disposizione di immobili per persone alluvionate; ha reso disponibile nell’immediato alcuni appartamenti pronti per l’ospitalità e ne sta allestendo altri con il generoso contributo di istituti di credito e di imprese. Inoltre, con le risorse disponibili la Diocesi cerca di venire incontro alle esigenze di quanti sono anche in difficoltà per il lavoro.
Nei territori colpiti dall’alluvione, dunque, senza grandi riflettori mediatici si continua a lavorare e a essere al fianco delle persone.
Sì, la Diocesi è in prima linea perché l’emergenza non è finita, occorre essere chiari. Nella sola Faenza l’alluvione ha colpito direttamente 12mila persone. Le frane hanno cambiato la morfologia del territorio. Nominato il commissario non possiamo pensare che i problemi delle nostre comunità siano risolti. Non bastano interventi emergenziali, pur necessari. Serve uno sguardo di lungo periodo. L’alluvione ha prepotentemente sollecitato la riconsiderazione del rapporto dell’uomo con l’ambiente anche alla luce del cambiamento climatico.
Cosa può dire in proposito?
È necessario che finalmente si faccia propria la categoria di ecologia integrale proposta dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.
È sempre più evidente che per una nuova pianificazione del territorio, ovviamente secondo le esigenze post-alluvionali, serve un approccio, come dicono gli esperti, che si avvalga di molteplici discipline, armonizzate attorno al perno di un’ecologia umana. Pertanto, nel porre mano ai possibili progetti si richiedono persone che, oltre a essere tecnicamente formate, siano preparate dal punto di vista etico. Infatti, non bastano la conoscenza e le scienze. È necessaria anche l’etica, che finalizza le attività umane al bene comune e che evita l’assolutizzazione del profitto. L’ecologia ambientale ha bisogno dell’ecologia umana. Senza persone competenti, in particolare responsabili, non si salvaguarda e non si coltiva il Creato. In sintesi, come ha suggerito qualcuno, «in Romagna l’uomo ha tradito la natura, ma soprattutto se stesso». Dobbiamo ripartire da qui, altrimenti rifaremo gli stessi errori.
Negli occhi delle persone restano impresse le immagini di tanti giovani sporchi di fango, armati di pale e badili, pronti ad aiutare.
Dal fango è emersa una comunità viva e solidale. Come ho già detto, l’alluvione è stata molto importante per responsabilizzare i giovani, spesso etichettati negativamente in maniera impropria. Con la loro operatività generosa e spontanea hanno dato una forte testimonianza di solidarietà e di vicinanza al Vangelo, a quel Vangelo che ci propone il Buon Samaritano come modello di aiuto all’umanità fragile e ferita. Veri e propri angeli del fango. Questa vicinanza alla gente e per la gente, in particolare agli anziani, ha rappresentato un momento forte di preparazione alla prossima Giornata mondiale della gioventù.
Samuele Marchi