Oltre il fango, la comunità. Da lì si riparte, in questo post-emergenza che, lo sappiamo tutti, ha ancora ferite aperte e da risolvere criticità enormi. È la parola che è risuonata di più, questa mattina, all’incontro organizzato dal nostro settimanale, nelle sue tre edizioni, in collaborazione con l’Ufficio Comunicazioni sociali della Ceer, l’Ucsi e la Fisc regionale nell’aula magna del Seminario di Faenza che aveva per titolo proprio “Oltre il fango, la comunità”.
Racconti di quel che è stato, ma soprattutto riflessioni e approfondimenti “per non dimenticare”, come ha detto all’inizio della mattinata il direttore del nostro giornale, Francesco Zanotti, e per guardare avanti. Dal vescovo di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso, al prefetto di Ravenna, Castrese de Rosa, a suor Chara Agati, della fraternità delle Dives in Misericordia che 25 anni fa aveva fatto una tesi di laurea in Scienze Ambientali sulla sicurezza idraulica del territorio a Samuele Marchi, responsabile della redazione faentina del nostro settimanale che ha parlato di come è stata raccontata l’alluvione, in particolare dal Piccolo, con le testimonianze di Agesci e Caritas: questi i punti di vista che si sono incrociati in Seminario a Faenza per ragionare insieme su quel che è successo, e non deve più accadere.
“Per capire questo evento, servono pensieri più lunghi – ha detto nel suo saluto il sindaco di Faenza, Massimo Isola -. L’intensità del dramma porta a cercare risposte immediate, tutto è in cerca di urgenza. E invece servono tempi lenti, per dare risposte lunghe”.
In questa esperienza, in questo settimane abbiamo perso tante cose, ha proseguito: sicurezze, beni materiali e immateriali, ci siamo allontanati, “ma alcune parole hanno assunto un nuovo significato. Anzitutto la comunità. Ciò che tutti abbiamo sentito, oltre il fango l’acqua, rifiuti, è stata la comunità che ci ha dato la forza di reagire. E poi è il grande tema della compassione: le persone che hanno deciso di farsi carico della passione degli altri. Io, che potrei farne a meno, dico ‘il tuo dolore è il mio’. E tutti sono diventati più forti in questo modo di affrontare il dramma”.
Il vescovo Mario: “Serve una visione che metta al centro l’ecologia integrale”
Questa comunità, monsignor Mario Toso l’ha vista girando per la sua diocesi e incontrando le persone. “Sono emersi tanti segni di speranza. Mi ha colpito l’umiltà della vita della gente che sostiene il mondo e la chiesa con il lavoro, l’impegno e un amore concretissimo, quello della cura dei più fragili che non si è interrotta e, anzi, si è realizzata con maggiore eroicità. Colpisce l’importanza del rapporto con il Creato, la sofferenza e la dignità degli anziani che hanno perso tutto, la fatica non del tutto codificata dei bambini che, ad esempio, con il temporale, piangono. Non sono mancate lacrime di commozione nei volti della gente, non solo per quanto hanno persone ma anche per l’aiuto ricevuto dalle associazioni, dai movimenti e dalle parrocchie”.
L’alluvione ha mostrato anche questo, oltre alle tante fragilità del nostro territorio: la forza e la bellezza della comunità. Ci ha detto, ha proseguito monsignor Toso che “le grandi sfide e ideali non sono lontane dal cuore dei giovani, ma vanno stimolati. Va detto loro che non possono essere eroi o angeli del fango solo un giorno ma tutta la vita”.
Questo è un tempo di grandi sfide: la pandemia, la guerra, la siccità, la sfida climatica. E si affrontano solo, ha scandito il vescovo mettendo insieme ecologia ambientale e umana, cioè mettendo al centro la persona. È l’ecologia umana della Laudato sì di Papa Francesco, una categoria per leggere e agire nel tempo di oggi.
“Non bastano le conoscenze e le scienze è necessaria anche l’etica – ha concluso –. In Romagna l’uomo ha tradito la Natura ma soprattutto ha tradito sé stesso. Dobbiamo ripartire da qui, da queste riflessioni, se non vogliamo ripetere gli stessi errori”.
Il prefetto De Rosa: “Quelle ore non si dimenticano”
Il prefetto di Ravenna, Castrese de Rosa, ha dato in quadro di cosa ha significato per le istituzioni gestire l’emergenza di maggio. Prima con i numeri, e poi in emozioni e ricordi personali: “Tra il primo e il 17 maggio, sul territorio provinciale si sono riversate qualcosa come 110 dighe di Ridracoli, 4,5 miliardi di metri cubi di acqua, una portata senza precedenti. Sono caduti 500 millilitri di pioggia, la metà di quella che normalmente cade in un intero anno. 23 fiumi sono esondati e si sono sviluppate oltre mille frane, mentre l’effetto “tappo” del mare che per i venti non riceveva acqua che ha favorito le esondazioni”.
Da subito, ha proseguito il prefetto è stato necessario “fare squadra. La mia esperienza nel mondo cattolico mi ha insegnato a essere comunità, che da soli non si va da nessuna parte. Ce l’ha detto anche il commissario Figliuolo ieri: il Covid è stato vinto perché l’abbiamo affrontato insieme”.
Il prefetto ha rievocato i giorni dell’emergenza e dei soccorsi e le notti nelle quali sembrava impossibile fronteggiare un’emergenza fuori scala. “Ho convocato subito i sindaci, quando il direttore della Protezione civile regionale mi ha annunciato, la domenica, l’arrivo di un’allerta ‘ciclopica’. Quelle ore non si dimenticano – ha detto tradendo l’emozione di quei momenti -. La fatica fisica si recupera, ma quella psicologica no. Ho convocato i sindaci, ho detto loro di evacuare il più possibile. Qui bisogna solo pensare a una cosa: salvare le vite umane. E quelle sette vittime ce le porteremo qui. Sono andato a tutti i funerali, chiedendo prima ai parenti se la mia presenza fosse gradita. E tutti mi hanno detto: noi vi vogliamo, vi ringraziamo perché abbiamo visto quello che avete fatto”.
4mila vigili, 3000 polizia, 3mila carabinieri, 4mila vigili attivati: “Abbiamo mobilitato tutti quelli che potevamo mobilitare – quantifica il prefetto. Ci ha salvato la capacità dei territori di fare squadra”. O meglio, comunità.
Un reportage più ampio dell’incontro di questa mattina sarà pubblicato nel numero del settimanale cartaceo in uscita la prossima settimana
Daniela Verlicchi
Foto G. Zampaglione – L. Di Deco