Prendono il via il 21 giugno gli esami di maturità per 536mila studenti: oltre 267mila provenienti dai licei; oltre 173 mila dagli istituti professionali e circa 95mila dagli istituti tecnici. A valutare i risultati delle due prove scritte e del colloquio che saranno tenuti a sostenere una commissione composta da un presidente esterno, tre membri esterni e tre interni all’istituzione scolastica. Per i candidati dei Comuni delle aree alluvionate in Emilia-Romagna le prove d’esame saranno sostituite da un colloquio interdisciplinare finalizzato ad accertare il conseguimento del loro profilo culturale, educativo e professionale. Come ogni anno ne parliamo con Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati.
Intervista a Eraldo Affinati
Professore, a inaugurare l’esame come sempre la prova scritta di italiano con il suo profondo valore simbolico. Quanto è importante per la valutazione complessiva di uno studente?
Lo scritto di italiano, nelle sue varie modalità e anche come base comune a tutti gli indirizzi, resta al centro dell’esame di Stato perché consente di vagliare, prima ancora della preparazione specifica sulle singole materie, le capacità logiche e riflessive del candidato il quale, grazie ai rapporti fra un argomento e l’altro, ha la possibilità di svolgere collegamenti mostrando le proprie inclinazioni. Se questa prova risulta originale e convincente, può essere utilizzata anche nel colloquio orale, quale riferimento per ulteriori suggestioni.
Sette tracce tra le quali il candidato potrà scegliere quella a lui più congeniale. Da scrittore, oltre che da insegnante, che cosa si sente di suggerire ai ragazzi per affrontare questa prova nel migliore dei modi vincendo l’ansia e rimanendo lucidi?
È sempre bene partire dalla propria esperienza per sviluppare ragionamenti più generali. Chi è portato alla sintesi sarà avvantaggiato. Agli altri potrà essere utile avere uno schema su cui basarsi. Tecnicamente, secondo me, è meglio scrivere frasi brevi per evitare di perdere il controllo sintattico. Quanto all’ansia, bisogna imparare a governarla, sapendo che il rischio non è alto, visto che alla fine la quasi totalità degli ammessi conseguirà il diploma. La discussione nelle commissioni riguarderà piuttosto il punteggio e noi sappiamo che gli anni precedenti saranno giustamente considerati. Tuttavia sarà compito dei docenti contribuire a sdrammatizzare una prova che gli adolescenti, nonostante le statistiche, continuano a vivere come una tappa decisiva, quasi ciò che resta dei vecchi riti di iniziazione. A noi adulti questo può far sorridere, ma per un diciottenne l’esame di Stato resta un evento importante, in senso esistenziale prima ancora che scolastico, in quanto scandisce un passaggio epocale: termina la vita di classe e inizia una fase nuova piena di incognite e aspettative.
Rispetto all’anno scorso, quando a costituire le commissioni erano i docenti che avevano seguito gli studenti lungo tutto il loro percorso, insieme ad un presidente esterno, quest’anno i membri esterni sono addirittura quattro, presidente compreso. Che cosa implica questo per i ragazzi?
Per esperienza so che tale modifica può accrescere il timore di alcuni, ma a questi mi sento di dire che nella vita capiterà spesso di avere a che fare con sconosciuti, quindi è meglio cominciare ad abituarsi subito. Così magari i candidati scopriranno che i nuovi docenti, annunciati come severi, non sono necessariamente meno comprensivi degli altri; anzi in certi casi potrebbero mostrare maggiore empatia. Almeno così voglio credere. È chiaro che in ogni esame c’è sempre il rischio di trovare chi si approfitta della discrezionalità del giudizio che è chiamato a fornire; tuttavia, la coralità della commissione dovrebbe scongiurare qualsiasi forzatura al riguardo.
Per gli alunni degli istituti delle aree alluvionate solo un colloquio interdisciplinare. Come valuta questa decisione?
Positivamente. È come se questi alunni avessero già sostenuto una prova di maturità dalla quale, a quanto sembra, sono usciti a pieni voti, anche smentendo sul campo certi stereotipi duri a morire sulla presunta indifferenza dei nostri giovani.
Il termine “merito” inserito nella denominazione del ministero dell’Istruzione è stato accolto da non poche polemiche. Inteso invece come mix di capacità e impegno, quale “spinta” può dare ai ragazzi nell’affrontare questo esame e, più in generale, nel porsi di fronte alle sfide che inevitabilmente incontreranno nella vita e a dare loro un senso?
È giusto che i docenti valorizzino le risorse dei propri alunni e che questi vedano riconosciuti i loro meriti. Tuttavia, nella mia visione, gli insegnanti non dovrebbero mai isolare i vincitori dal resto del gruppo, e questi ultimi sono chiamati a restituire agli altri ciò che hanno ottenuto: se lo faranno il loro talento si moltiplicherà a dismisura e avrà così avuto un senso pieno, altrimenti tutte le medaglie ricevute finiranno nel cassetto e col tempo perderanno il valore che gli abbiamo dato.
Il suo augurio per i maturandi?
Che possano utilizzare questa prova come trampolino di lancio verso nuove avventure, mettendosi alle spalle le esperienze negative e valorizzando quelle più belle.
Giovanna Pasqualin Traversa – Agensir