Come si fanno i tortelli di San Lazzaro? Chi vive fuori Faenza, difficilmente potrà dare la risposta esatta a questa domanda. Forse non li ha nemmeno mai assaggiati. Eppure questi dolcetti, tipicamente faentini, o meglio borghigiani, racchiudono anni di storia. Lo ha raccontato bene Elena Gaddoni, giovane faentina, laureata in Scienze Gastronomiche a Parma, nella sua ricerca sui tùrtell d’San Lazar mettendo insieme tradizione culinaria e popolare. «Ho scelto questa ricetta», dice, «perché ci sono affezionata e tuttora li preparo portando avanti la tradizione del mio quartiere». Tortelli ripieni di castagne lessate, cioccolata, confettura di prugne bagnati nella saba. Sembrano semplici e pochi ingredienti, eppure contengono anni di storia. «Si fa fatica a ricostruire questa tradizione», dice Elena, «Ho consultato varie biblioteche e ho trovato molte versioni e pareri diversi. Quello che ho riportato è il più attendibile».
La ricetta, tramandata oralmente di famiglia in famiglia, non segna certo grammature precise, ma indica chiaramente il tempo e il luogo nel quale possono essere preparati i tortelli: la quinta domenica di Quaresima, la domenica Durbecco – in Borgo. In questa occasione aveva luogo una “gita” che i faentini facevano nella zona di San Lazzaro, nella parte destra del fiume Lamone dove tutt’oggi è presente la chiesetta che fu ospedale per i lebbrosi nel Medioevo. «In questa circostanza» riporta uno scrittore dell’800, «come è noto si faceva una buona scorpacciata dei cosiddetti tortelli, innaffiati dal succo di Bacco in abbondante misura» fermandosi a casa di amici e parenti. «La festa si faceva quasi solo in cucina perché era l’unico ambiente riscaldato in cui avevamo il camino», aggiunge Mario Gurioli. «I parenti stretti venivano anche dalla mattina a mangiare, mentre da dopo pranzo arrivavano gli amici o anche i conoscenti. Poi si andava a vedere in che casa si facevano i tortelli più buoni; alcuni avevano la pasta così secca che era duri anche con la saba».
Chi non aveva il forno in casa chiedeva in prestito delle teglie ai fornai del Borgo
Una domenica di festa in piena Quaresima, caratterizzata da un’atmosfera molto gioiosa, non era sempre vista di buon occhio dalla Chiesa locale. Ma, come sappiamo, spesso sacro e profano convivono spesso nelle tradizioni storiche. I tùrtell d’San Lazar sono infatti un vero e proprio rito, con una preparazione molto accurata che iniziava una settimana prima della festa, quando si iniziava a pulire casa. La ricetta non era mai la stessa, ogni famiglia la modificava anche in base alle proprie disponibilità. A cambiare era in particolare il ripieno: non sempre si aveva il cioccolato e come marmellata si usava quella a disposizione. Racconta ancora Gurioli: «L’impasto fuori era quello della ciambella, nel pieno mia madre metteva le castagne lessate, la marmellata di pere Spadone che facevamo noi, un po’ di cioccolata in polvere, un po’ di caffè macinato, e il liquore all’amaretto a seconda di quello che si trovava». Una volta lessate le castagne si schiacciavano e si univano agli altri ingredienti. Il tutto poi veniva cotto. «Chi non aveva il forno in casa chiedeva in prestito delle teglie ai fornai del Borgo. Questo particolare mi colpisce molto – dice Elena – oggi ci sembrerebbe inimmaginabile».
La saba, il tratto distintivo
Anche la saba, tratto distintivo – anche se alcuni usano l’alchermes – si preparava in casa con il mosto delle vigne fatto ribollire. «Bolliva anche 10-12 ore. Una volta cotto si prendeva uno straccio, ci si metteva un pezzo di pane secco e si immergeva dentro il liquido. Serviva per togliere l’acidità», racconta Gurioli. «Una volta fatta poi si metteva via nelle once di terracotta e poi si usava tutto l’anno».
Una ricetta che quindi racchiude in sé molto più di quanto si possa immaginare e che soprattutto racconta ancora qualcosa di quel mondo contadino, legato alle tradizioni popolari e alle feste nelle quali si teneva la porta di casa aperta e si condivideva ciò che si aveva. Un mondo di cui oggi abbiamo bisogno che ci fa pensare che forse ciò che dobbiamo fare non è ripartire ma recuperare ciò che del passato ancora ci resta e ci nutre. Proprio come i tùrtell ‘d San Lazar.
Letizia Di Deco