Il bilancio delle attività della Guardia di Finanza, diffuso nei giorni scorsi in occasione dell’anniversario del Corpo, ha confermato non solo l’impegno delle fiamme gialle contro l’evasione fiscale, ma anche le dimensioni di un fenomeno che rappresenta una patologia molto grave dal punto di vista economico e sociale. Sul piano dei numeri basta ricordare come sia stata salutata con paradossale soddisfazione (peraltro motivata) la discesa delle stime dell’evasione sotto la fatidica soglia dei 100 miliardi. È tutto dire. Ma 99 miliardi di tasse evase (dati 2019 nella Nadef del 2022) restano un’enormità. E se tutti applaudiamo ai 777 milioni di euro sequestrati in poco più di un anno ai grandi evasori nella sola Lombardia, non bisogna trascurare quel tessuto di illegalità costituito dai comportamenti non eclatanti di coloro che si fanno beffe del dovere di solidarietà implicito nel sistema fiscale.
«L’ingiustizia e l’ammanco di risorse che l’evasione determina sono indegne di un Paese civile» – ha affermato Riccardo Di Stefano, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria dal palco del recente convegno di Rapallo – e che essa «sia grande o piccola, la sua gravità non cambia. Perché entrambe ci parlano di un rapporto distorto con la cosa pubblica. Quel ‘prendi e scappa’ che è un problema prima di tutto culturale e poi materiale». Parole tanto più significative in quanto chi le ha pronunciate non è certo sospettabile di un pregiudizio negativo verso l’attività d’impresa. Parole socialmente utili perché intorno al sistema fiscale e al suo contrario – l’evasione, appunto – c’è un fondamentale problema di narrazione pubblica. Chi ha responsabilità politiche dovrebbe pesare bene le parole. Quando autorevolissimi esponenti del governo evocano il “pizzo di Stato” o sostengono che le regole siano così complicate da rendere impossibile il loro rispetto, le spiegazioni relative al tenore letterale di quelle locuzioni sono legittime, ma non riescono neanche lontanamente a mitigare l’effetto devastante prodotto nell’opinione pubblica. Fortemente nocivo, nonché figlio di una tendenza generalizzata a negare valore a tutto il passato prossimo della politica, è anche il messaggio secondo cui l’impegno e le misure finora messi in campo nella lotta all’evasione siano stati praticamente inutili.
Eppure lo stesso Documento di economia e finanza dell’esecutivo rileva che nel periodo 2015-20 il tax gap (cioè il divario tra le imposte concretamente versate e quelle dovute) è diminuito di circa il 17%, vale a dire di 16,3 miliardi. C’è tantissimo ancora da fare, come s’è detto, ma andando avanti, non tornando indietro. Se le istruzioni per la dichiarazione dei redditi nei diversi settori (dall’Irpef alle società di capitali) richiedono complessivamente mille pagine, è assolutamente e urgentemente necessario semplificare il sistema. Su questo non ci sono dubbi. Ma la semplificazione dev’essere funzionale a una maggiore equità ed efficienza, che i gestori della cosa pubblica sono tenuti a garantire. Non deve diventare un alibi per giustificare l’evasione e alimentare l’illusione che si possa agevolmente ridurre il prelievo fiscale conservando i medesimi livelli di protezione sociale. Perché le tasse a questo servono: salute, istruzione, ambiente, sicurezza…
E chi non contribuisce non è un furbo, ma un ladro.
Stefano De Martis – AgenSir