È martedì 16 maggio a Faenza. Sono da poco passate le 17 e, come di consueto, sto percorrendo il tragitto lavoro-casa, dal centro storico verso il Borgo. A farmi compagnia però c’è un sentimento in più: la paura. L’incubo prospettato dall’allerta meteo si sta materializzando, con il fiume Lamone sempre più gonfio d’acqua e la pioggia che non accenna a diminuire. Arrivato in fondo a corso Saffi rabbrividisco nel vedere i carabinieri in procinto di chiudere il Ponte delle Grazie: casa mia, in via di Sopra, è al di là di una selva di lampeggianti blu e mezzi dei vigili del fuoco e non posso fare più nulla per salvarla: la sensazione di impotenza è enorme mentre Faenza viene tagliata in due.
Decido di recuperare l’auto e lasciare la città, in un posto in cui il fiume faccia un po’ meno paura. In serata la situazione precipita, alle 21 il Lamone rompe gli argini e invade il Borgo e il centro storico, con una violenza mai vista: passo la notte guardando atterrito le immagini dei miei concittadini sui tetti, assediati dall’acqua, in attesa dei soccorsi. Il 18 maggio, complice il miglioramento delle condizioni meteo e della viabilità, rientro a Faenza, toccando per la prima volta con mano la devastazione e la marea di fango che hanno travolto la città.
Arrivo finalmente davanti alla porta di casa e mi convinco di sapere cosa troverò all’interno e invece, dopo aver aperto la porta, l’impatto emotivo è fortissimo: il segno dell’acqua, ormai ritiratasi è a un metro e mezzo circa, il fango è letteralmente ovunque, le porte sono scardinate e ammassate sopra divani, mobili e ricordi mentre la taverna è colma d’acqua fino al soffitto. Lo scenario è apocalittico e in altre zone di Faenza, distanti poche centinaia di metri, è andata ancora peggio. Ecco il momento più drammatico, quello in cui non sai cosa fare e come fronteggiare la situazione: la reazione arriva grazie agli amici, accorsi subito, al sorriso dei tanti volontari che allevia il dolore e al senso di comunità e unione che si crea tra i vicini.
C’è chi si prodiga per trovare una pompa utile a svuotare i piani interrati, chi dispensa consigli, chi pialla porte che non si chiudono più, chi non fa mai mancare un sorriso e un buon caffè, chi tiene pulito i tombini, chi abita nelle vie circostanti e dopo aver sistemato il proprio garage dà una mano a tutti, cercando di non lasciare solo nessuno. Persone che fino a pochi giorni prima non si conoscevano oppure si salutavano distrattamente lottano insieme per salvare le proprie case dalla furia dell’acqua scoprendo che affrontare insieme un’alluvione è più semplice e che, mai come questa volta, è proprio vero che nessuno si salva da solo.
Con il passare dei giorni la casa, liberata da acqua e fango, riacquista la fisionomia di un posto in cui poter vivere seppur senza mobili, cucina, elettrodomestici ed è allora che si fa largo una sensazione bruciante e certe domande non possono più essere messe a tacere: tornerò a vivere lì? Quando? Quanti lavori di ripristino dovrò fare? Ci si sente letteralmente sradicati, con la propria routine e i propri progetti sconvolti nell’arco di una notte che è già nella storia della nostra città.
E mentre il fango diventa polvere è proprio questo il tema centrale per tanti abitanti del Borgo e di Faenza: la preoccupazione per il futuro, la necessità di trovare un alloggio, di mettere al sicuro la propria famiglia e rendere nuovamente abitabile la propria casa.
Sono molte le persone che hanno perso tutto, non possono rientrare a casa e non vedono un futuro: tra loro ci sono tanti anziani strappati dalle loro case, dove hanno sempre vissuto, e ospitati da parenti oppure in strutture così come ci sono tante coppie giovani, con un mutuo appena acceso e tanti progetti a rischio. Ridare speranza a queste persone, donargli prospettive concrete deve essere una priorità nel progettare una ripartenza, nel disegnare la Faenza del domani perché la casa non è solo il luogo dove stare con la propria famiglia, invitare gli amici o rilassarsi dopo una giornata pesante, ma è una parte fondamentale della propria identità. Di fronte a sfide complesse e ad un futuro incerto è quanto mai importante, come ricordato anche dal vescovo Mario che nessuno sia abbandonato.
Samuele Bondi