Torna venerdì 5 maggio la Notte Nazionale del Liceo Classico: dalle 18 alle 24, nella sede del Torricelli di Faenza in via S.Maria dell’Angelo, gli studenti si esibiranno in performance legate ai loro studi e alla formazione della cultura classica grazie al contributo della loro fantasia. «Non si tratta di un open day – sottolineano le studentesse Viola Russo e Sofia De Santis – ma di un evento in cui il liceo apre le proprie porte a tutta la città». Il prossimo anno ci saranno due sezioni a indirizzo classico a Faenza, dato in controtendenza rispetto al panorama nazionale. «Bisogna ripensare alla cultura classica – spiega la dirigente Paola Falconi –, ma non abbandonarla. Fornisce agli studenti una forma mentis unica che ha valore anche nel mondo di oggi, e noi dobbiamo saperla comunicare all’esterno».
Notte nazionale del liceo Classico: il Torricelli il 5 maggio apre le porte al pubblico
Il programma prevede, dopo i saluti iniziali, alle 18.30 la premiazione del concorso Un racconto da prima pagina con la libreria Moby Dick. Nella stessa ora Una corsa sull’Olimpo, a cura delle classi 2AC e 2ART con la partecipazione dell’Ic Matteucci. Alle 20 coro e orchestra Areion. Alle 20.30 Delmira Agustini: una voce poetica sconosciuta a cura del prof. Cesare Sangiorgi. Alle 21 incontro con l’autore Michele Donati. Alle 21.15 La mossa del matto a cura della 3AC. Alle 21.30 Velia e Giacomo Matteotti, del laboratorio teatrale del liceo. Nella stessa ora La donna romana pedagoga e discipula, a cura della 1AC con Zoe Lombardi. La serata prosegue poi con altre performance e laboratori: tutti gli eventi sono consultabili sul sito del liceo.
Intervista al professore Federico Condello (Università di Bologna): “Scambiare il classico come ‘scuola del greco e del latino’ è un errore. Bisogna andare contro la visione che vuole questo liceo come elitario”
Il liceo classico offre uno sguardo al passato, certo. Ma è una scuola capace di guardare soprattutto al futuro. I dati lo testimoniano: permette a ogni studente di costruire con consapevolezza un proprio progetto di vita. Per approfondire questi temi ci siamo rivolti a Federico Condello, professore ordinario di Filologia classica all’università di Bologna e autore del libro La scuola giusta. In difesa del liceo classico (Mondadori).
Professore Condello, nel suo libro ha scritto che chi ha a cuore il liceo classico ha a cuore non tanto il greco e il latino, ma una scuola giusta. Cosa intende per “scuola giusta”?
In estrema sintesi, definirei “giusta” quella scuola che concede tempo: tempo per crescere, tempo per maturare, tempo per conoscere; quella scuola, cioè, che rinvia il più a lungo possibile una scelta disciplinare (e dunque professionale) precisa e vincolante, fornendo nel frattempo una preparazione ampia e aperta, che a tempo debito consentirà una scelta consapevole. La cosiddetta “canalizzazione precoce” dovrebbe essere la bestia nera di chi crede nella scuola democratica: più una scuola lascia liberi di conoscere se stessi e i propri talenti, più è giusta. La grande novità del liceo classico, nell’Italia neonata del secondo Ottocento, fu l’invenzione di una scuola pubblica e laica. La “classicità” non era l’idea centrale, e il latino e il greco erano solo mezzi per altri fini.
Venendo al presente, uno dei pregiudizi che si ha verso il liceo classico è quello di una scuola che dedica tante ore di insegnamento a materie ‘inutili’, come appunto il greco e latino.
Eppure, i dati lo confermano, il classico è il liceo che prepara meglio gli studenti a qualsiasi tipo di università. Come si è venuto a creare questo paradosso?
Scambiare il liceo classico per la “scuola del greco e del latino” è un errore, che espone questo nobile indirizzo di studio alle ironie e alle critiche di avversari non di rado in cattiva fede (ma spesso, banalmente, ignoranti). Purtroppo, anche qualche difensore del liceo classico cade nel trabocchetto e imposta la sua apologia su una magnificazione a oltranza del greco e del latino. In realtà, sulla caratterizzazione classica del liceo cosiddetto classico hanno sempre insistito coloro che volevano farne una scuola d’élite; o, se preferiamo, di classe: da Giovanni Gentile ai suoi odierni epigoni, che peraltro si collocano quasi sempre da tutt’altra parte politica. In realtà aveva visto giusto Gramsci: al liceo classico il greco e il latino non si imparano: si studiano. È ben diverso. Sono parte di un ecosistema disciplinare molto più ampio, e sono essi stessi veicoli di un apprendimento che mira al metodo intellettuale molto più che al contenuto “classico”. Poi, da grande, qualche diplomato classico farà il classicista. Ma non è la regola (per fortuna) né il fine della scuola.
Sempre su questo tema, la cultura umanistica spesso è considerata qualcosa di subalterno, se non addirittura ‘inutile’, nella contemporaneità rispetto all’importanza del sapere tecnico. Eppure, già prima della pandemia, era evidente come una società caratterizzata da iper-tecnicismi, complessità e saperi parcellizzati rischi di mancare di visione e di dialogo tra tutte queste culture. Può il liceo classico essere uno degli antidoti a questo?
Purtroppo, la patente di “inutilità” viene talvolta euforicamente e fieramente adottata dagli stessi umanisti, che ne menano vanto e credono così di spaventare i rozzi utilitaristi. Non funziona, anzi alimenta una visione elitaria della cultura cosiddetta umanistica, buona per i pochi che possono dedicarsi a queste elette frivolezze. Piuttosto, si rivendichi quanto di sommamente concreto insegnano le discipline umanistiche: la storia non è concreta? Non lo è la lingua? Non lo sono le discipline sociali? Si tratta di materie concretissime che ci toccano nel vivo come singoli e come collettività. Peraltro, chi oppone l’inutilità delle discipline umanistiche all’utilità delle discipline tecnico-scientifiche mostra di avere una concezione alquanto grossolana anche di queste ultime.
Quali sono i punti di forza che, ancora oggi, caratterizzano il liceo classico? Quali a suo parere le sfide future di questo tipo di istruzione che lei ha definito una “educazione d’eccellenza di massa”?
Si è spesso accusato il liceo classico di immobilismo e pervicace conservatorismo. Falso. Dal 1861 a oggi è una scuola che ha conosciuto e ogni giorno conosce continui cambiamenti e aggiornamenti. Il rischio, semmai, è quello di esperimenti avventati all’inseguimento delle mode. Le scuole cambiano sempre, ma lentamente e meditatamente: ed è bene che sia così.
Come ha visto cambiare gli studenti in questi anni?
Non sono un appassionato delle etichette generazionali, spesso sommarie, e spesso inventate da adulti malati di nostalgia. Vedo studentesse e studenti di straordinaria diversità. Non noto scarti epocali. Un grande filologo classico, Giorgio Pasquali, diceva che gli studenti sono “sitibondi di concretezza”. Diamo concretezza, cioè verità.
Si parla spesso, giustamente, degli studenti e delle loro esigenze. Quando si parla di scuola, si tende a soffermarsi meno sul ruolo dei docenti. Come la politica e la società dovrebbe aiutarli a svolgere al meglio il proprio ruolo?
Qui la mia concretezza rischia di rasentare la trivialità: servono fiumi di denaro. Poi si parla del resto. Una riforma della scuola deve passare dal Mef prima che dal Miur.
Quali sono, a suo parere, le qualità particolari che deve mettere che deve mettere in campo un docente oggi in un liceo e, più in generale, in una scuola superiore?
Se devo indicarne una sola, la voglia di imparare, sempre. E quindi di condividere quel che se impara. Se non te la tolgono, è la virtù che sostiene ogni docente.
Qual è il ricordo più bello che ha del liceo classico, quando era studente o docente?
Da docente, i miei studenti. Tutti. Da studente, i miei docenti. Tutti o quasi.
Samuele Marchi