«Ricevere questa onorificenza è stata un’emozione indescrivibile. In questi anni non ho fatto altro che il mio dovere a fianco dei bambini che mi sono stati affidati». Con queste parole suor Luisa Bassi ha accolto il premio Faentina sotto la torre 2023. La cerimonia per la consegna è prevista domenica 25 giugno, assieme alla vincitrice del premio Faentina lontana, Morena Plazzi (di cui tratteremo prossimamente sul Piccolo).
Originaria di Pieve Cesato, suor Luisa quest’anno festeggia i 50 anni di vita religiosa con le suore Terziarie francescane (oggi Ancelle di Maria), per i faentini le suorine dell’Istituto Ghidieri, storica realtà didattica della città. Suor Luisa, per tutti SuorLu, per oltre mezzo secolo è stata una delle insegnanti della materna Ghidieri e cuore pulsanti del Cre estivo ma anche assistente scout e catechista. Ha visto crescere intere generazioni di bambini. L’approccio di suor Luisa, sempre accogliente, è uno dei motivi che la rendono tanto amata, usando sempre la sua dolcezza accompagnata dal dialetto quale strumento per rafforzare e semplificare il dialogo con i suoi piccoli allievi e con i suoi concittadini.
Intervista a suor Luisa: “La vita donata al Signore è la più bella”

Suor Luisa, come è iniziata questa avventura?
Sono entrata per la prima volta in questa scuola il 31 maggio del ‘71 e l’1 giugno sono stata subito a fianco di un’insegnante di scuola materna. Non avevo tanta voglia di studiare per diventare maestra, ma su proposta della superiora, mi ci rimisi sotto per ottenere le Magistrali. I primi bambini dai 3 ai 6 anni che ho avuto sono quelli del ‘72, che hanno oggi più di 50 anni. All’epoca mai avrei pensato che sarebbe stata questa la strada della mia vita. C’è in particolare una frase tratta da un libro di don Bosco che mi ha colpito: “l’educazione è cosa del cuore”. Ogni giorno ho cercato di fare mio questo invito. Ho dato tutto per la mia scuola e ancora oggi cerco di dare una mano, come all’accoglienza o in cucina, per quel che riesco.
Quando hai sentito crescere in te la vocazione?
Attorno ai 14 anni. I miei genitori mi hanno trasmessa una grande fede. Mia nonna era analfabeta, ma non analfabeta nella fede. Li ho sempre visti come una grande quercia sotto cui crescere. Poi il parroco don Valentino Donati è stato attento nel cogliere le mie domande di senso. Vedendo le suore, incominciavo a domandarmi se quella potesse essere la mia via. Oggi, riguardando indietro, non cambierei la mia strada per tutto l’ora del mondo. La vita donata al Signore è la più bella.
In cosa ti ha arricchito questa esperienza?
L’empatia con le persone, il dire la parola giusta in un momento di sofferenza, l’essere attenti a cogliere i bisogni dell’altro. L’accoglienza festosa ai bambini a scuola penso sia un momento fondamentale e che non dobbiamo trascurare. Un bambino fin da subito deve sentirsi ben accolto quando entra a scuola, e questo dà poi il tono a tutta la tua giornata.
Quali le gioie più belle?
Ricordo le passeggiate sotto il sole a Castel Raniero e altre, all’avventura. E poi le gite, a Brisighella, assieme alle guardie forestali e ai carabinieri. Poi le recite di Natale, dove impegnavo anche i genitori. Mi piaceva far lavorare molto con le mani e costruire oggetti. Non avevamo paura di far usare loro con attenzione strumenti di lavoro. Penso che oggi la manualità vada riscoperta. Abbiamo poi pregato tanto coi bambini: la loro preghiera è quella più innocente. Abbiamo pregato per la pace, per le loro famiglie, quando c’erano sofferenze, anche grandi, da superare. Essendo una romagnola schietta, ho insegnato anche un sermone in dialetto per una recita. Ricordo comunque anche diversi momenti, con i bambini, in cui pregavamo la Madonna per un loro compagno che stava vivendo un momento difficile, facendoci sentire tutti uniti nel superare quella sofferenza. Poi è sempre bello ritrovarseli oggi adulti. Magari subito ci metto un po’ a riconoscerne alcuni – d’altronde ne ho avuti talmente tanti -, ma poi spunta sempre un particolare, un episodio, un aneddoto, che mi fa tornare alla mente che quell’adulto di oggi una volta era un mio bambino.
E poi i giochi…
Ricordo in particolare una classe, quelli che oggi hanno 30 anni. Erano 19 maschi e ho sempre giocato a pallone con loro. Io stavo sempre in porta. Giocare è importante, i bambini devono innanzitutto giovare. E la loro gioia contagia anche me. È stato bello, un cammino colorato dalla gioia dei bambini.
“Gli adulti oggi devono imparare a dire più ‘No’ educativi. Sono i momenti in cui vogliamo più bene ai nostri bambini”

Come sono cambiati oggi i bambini?
Molto. Oggi vedo quasi più i genitori ubbidire ai figli che non viceversa. Penso che gli adulti dovrebbero imparare a dire qualche ‘no’ educativo in più per una crescita sana in questo mondo malato. Ai miei bambini lo dicevo sempre: «quando vi dico no è il momento in cui vi voglio più bene». I bambini hanno bisogno di qualcuno che li sostenga e faccia capire loro che ci sono due strade nella vita: quella del bene e quella del male. E la seconda è la più facile da prendere: è come se ci trovassimo di fronte da una parte una grande, ma fredda, autostrada e dall’altra un sentiero impervio e immerso nella natura. La prima è la strada che ci invita di prendere gran parte del mondo. Scegliere il secondo sentiero richiede coraggio e fatica, ma fa crescere per davvero e dà senso alla tua vita. I bambini hanno bisogno di attenzione per riuscire a riconoscere quali sentieri prendere. E non dimentichiamoci mai che il mestiere dei bambini è giocare. C’è un momento per ogni cosa, non vanno anticipate le tappe con i più piccoli. Solo così li educhiamo alla strada del vero bene.
Samuele Marchi