Il 2022 è stato un anno di crescita per l’economia emiliano-romagnola che, nonostante le difficoltà globali, si è confermata ai vertici nella graduatoria delle regioni italiane. Nel mondo del lavoro, però, i tassi di occupazione di uomini e donne restano distanti. I numeri fotografano come in Emilia-Romagna vi sia ancora un forte divario di genere da superare: il tasso di occupazione nel 2022 è stato del 75,3% per gli uomini e del 61,6% per le donne, con un divario del 13,7% (Fonte Istat). Da dati più recenti, la retribuzione media annua risulta di 23.859 euro per gli uomini e di 16.268 euro per le donne, con una differenza annua di 7.574 euro. «Nel mondo del lavoro c’è una situazione impari, caratterizzata da una forte disparità di genere – commenta la faentina Elisa Fiorani, responsabile Coordinamento donne Cisl Emilia-Romagna –. A tre anni dallo scoppio della pandemia, possiamo dire che il Covid ha evidenziato le fragilità già presenti nel sistema: la crisi economica ha impattato maggiormente sull’occupazione femminile, caratterizzata da lavoro discontinuo, a tempo determinato, con orario di lavoro complessivo inferiore a quello maschile e in disequilibrio rispetto alla condivisione del lavoro domestico e di cura verso minori e anziani».
Le donne sono quelle che hanno subito di più gli effetti della pandemia nel mondo del lavoro

«Durante la pandemia – prosegue Fiorani – con l’interruzione dei servizi, tra cui la chiusura delle scuole, è stata soprattutto la componente femminile a rinunciare al lavoro poiché, nella maggior parte dei casi, era quello meno retribuito. Quanto avvenuto ha messo in luce una realtà tutt’ora attuale che richiama il modello male breadwinner dove è l’uomo a portare a casa lo stipendio, mentre la donna, nell’economia della famiglia, è addetta alla casa e alla cura, e il suo lavoro – se c’è – è accessorio, e dunque sacrificabile».
Fiorani sottolinea come, tutt’oggi anche le donne che hanno un impiego a tempo pieno vivano maggiori difficoltà nella conciliazione tra vita privata e vita lavorativa, con un maggior carico di stress rispetto alla “cura” della famiglia. «Elementi, questi, molto presenti anche in una regione come la nostra, in cui il tasso di occupazione femminile è comunque elevato, seppure inferiore a quello degli uomini», commenta. Parlare di soluzioni, non è semplice. «È di fondamentale importanza riuscire a incrementare il tasso di occupazione femminile, sia perché il lavoro è uno strumento di realizzazione di sé sia perché le donne sono un valore aggiunto per il mercato del lavoro, una grande ricchezza economica e umana da valorizzare. Inoltre – evidenzia – una maggiore occupazione delle donne genera a sua volta occupazione, basti pensare a tutto il settore della “cura”. È bene sottolineare che più occupazione per le donne significa più occupazione per tutti».
Gestione della casa e cura: “Serve una parità di genere anche nel welfare”
A tale riguardo, l’esperta cita il welfare sottolineando che «non riguarda le donne e non si fa per le donne, ma per le persone che hanno i carichi di cura. Per uscire da questo circolo vizioso è necessario promuovere politiche di condivisione del lavoro domestico e di cura. «Non possiamo pensare che tutte le misure di conciliazione tra vita privata e lavorativa siano pensate per le donne e utilizzate solo dalle donne – commenta Fiorani –. Se vogliamo che nel mondo del lavoro si raggiunga un equilibrio è necessario che anche gli uomini si occupino della casa e della cura».
Fiorani: “Gli stereotipi occupazionali vanno affrontati fin da giovani”
Un altro tema che Fiorani approfondisce è quello della segregazione verticale e orizzontale nel mondo del lavoro: la prima è quella che conosciamo bene, cioè la fatica delle donne nella progressione di carriera. La segregazione di tipo orizzontale riguarda carriere o lavori ancora visti in maniera stereotipata e considerati adatti solo agli uomini o solo alle donne. «È una questione di tipo culturale. Basti pensare a tutti i lavori tecnico-scientifici, considerati più adatti agli uomini: sono quelli del futuro, che garantiranno una buona retribuzione. Per cambiare questa dimensione culturale è necessario evitare di orientare socialmente le inclinazioni dei giovani e i loro precorsi formativi – commenta Fiorani –. Come sindacato, ma esistono anche programmi promossi dalla Regione, stiamo lavorando su questo con progetti che riguardano l’orientamento in scuole superiori oltre che con testimonianze di donne lavoratrici impegnate in settori considerati poco “femminili” ».
Se i passi avanti sono tanti e non facili, a stimolare i passaggi futuri vi sono anche l’Agenda 2030 e il Patto per il lavoro e per il clima.
«Questi ultimi – spiega – puntano a ridurre il divario di genere del tasso occupazionale (20-64 anni) portando a 0,91 il rapporto di femminilizzazione del relativo tasso. Oggi siamo allo 0,82». Fiorani annuncia un incontro in programma a fine marzo, organizzato da Cisl Emilia-Romagna, in cui verrà presentato un approfondimento realizzato da una ricercatrice dell’università di Bologna che ha preso in analisi i dati dei neolaureati e l’accesso al mercato del lavoro, facendo emergere disparità di genere nell’ingresso nel mercato del lavoro anche a parità di titoli e risultati accademici.
Nelle aziende serve trasparenza retributiva tra uomini e donne
Parlando ancora della disparità retributiva e del “soffitto di cristallo” Fiorani spiega che «per capire se in un’azienda vi è questo tipo di discriminazione, che potrebbe anche essere involontaria, è necessario puntare sulla trasparenza, cioè sul rendere accessibili i dati sulla retribuzione. Grazie a una legge del dicembre 2021 – conclude – le aziende pubbliche e private che hanno più di 50 dipendenti (prima erano 100), devono redigere un Rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile, dati che permetteranno di analizzare la realtà lavorativa del nostro Paese e mettere in atto dei correttivi».
Sara Pietracci