Il 21 marzo di dieci anni fa ci lasciava Pietro Mennea, dopo una malattia conosciuta solo a pochissime persone: la moglie Manuela e a pochi altri.

Campione nella metodologia e caparbietà dell’allenamento, fuoriclasse tra le corsie della pista di atletica leggera, uomo di una cultura invidiabile, quattro lauree, avvocato-commercialista, relatore in convegni e persino europarlamentare. Tutto questo e molto altro era Pietro Paolo Mennea, l’uomo che per più di un decennio è stato il più veloce al mondo nei 200 metri con 19”72 (che ancora oggi è primato europeo, dopo oltre 40 anni).

Mennea quando aveva 15 anni sfidava le auto sportive su una strada sterrata di Barletta, per guadagnare 500 lire. Nella sua carriera ha indossato 52 volte la maglia azzurra: il debutto in Nazionale maggiore a 19 anni, nel 1971 agli Europei di Helsinki, dove contribuì alla conquista del bronzo della 4×100. L’anno successivo la prima delle cinque Olimpiadi (bronzo nei 200 a Monaco di Baviera, le Olimpiadi funestate dai fatti cruenti contro la delegazione israeliana).

Terminò la carriera ai Giochi di Seul del 1988, sedici anni dopo: era stato alfiere portabandiera della spedizione italiana, prese parte alle batterie dei 200, ma poi non si presentò ai blocchi per i quarti di finale.

In mezzo 17 anni di grande atletica, di storici risultati, dagli ori alle Universiadi (cui lui teneva tanto) agli ori europei del ’74 e ’78, dal 19”72 che fu primato mondiale fino al 1996, all’oro olimpico a Mosca nel 1980.

“Un ragazzo del Sud senza pista, oggi è riuscito a fare il record del mondo”, disse il 12 settembre del 1979 dopo aver vinto le Universiadi stabilendo il record del mondo, nel caldo-umido di Città del Messico, coi suoi 2.240 metri di altitudine.

Il momento più bello, emozionante e toccante della carriera di Mennea resta, però, quello di lunedì 28 luglio 1980 quando va sui blocchi della corsia numero otto (la più complicata in atletica per i 200 metri) per affrontare la finale dei 200 alle Olimpiadi di Mosca.

Mennea scatta con quella sua classica partenza lenta e caracollante. Indossa un gigantesco pettorale numero 433: alla fine della curva, ai 100 metri lo scozzese Allan Wells, partito in settima corsia, lo ha raggiunto, annullando il cosiddetto décalage, lo scarto che dipende dalla corsia assegnata. 

Nel rettilineo finale Mennea compie il miracolo, dopo uno stupendo ed emozionante recupero sullo scozzese (battuto per due centesimi) e vince l’oro in 20”19. Indimenticabile e ancora oggi da brivido quel “recupera, recupera, recupera…. ha vinto, ha vinto” del telecronista Rai di allora, Paolo Rosi. 

Dopo l’oro di Mosca, nel 1981 si ritirò una prima volta, per dedicarsi allo studio. Nel 1982 solo un’apparizione, quella con la staffetta 4×400 agli Europei di Atene. Nel 1983 la Iaaf (Federazione mondiale di atletica) istituì il Campionato mondiale e Mennea gareggiò a Helsinki conquistando il bronzo nei 200 e l’argento con la 4×100, nel quartetto che comprendeva anche Pavoni, Tilli e il ravennate Simionato. A Los Angeles ‘84, tre gare e tutte senza medaglie, poi la conclusione dell’epopea alle Olimpiadi di Seul.

Oggi il suo nome e il suo ricordo sono affidati alla Fondazione Pietro Mennea Onlus per la Ricerca e lo Sport. Dal suo sito web leggiamo che si occupa, attraverso l’ideazione e la progettazione di attività, di fare donazioni costanti nel tempo ad enti caritatevoli, di ricerca medico-scientifica, ad associazioni culturali e sportive, attraverso una beneficenza che avrà carattere di massima trasparenza e concretezza.

Il suo ricordo ci lascia la consapevolezza che impegno, passione, determinazione sono imprescindibili per affrontare la vita e le sue dinamiche.

Tiziano Conti

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