Quella di Sofia (nome di fantasia) è una storia vera. La storia di chi abbandona il banco prima del tempo, non per sua volontà, ma come forma di difesa di fronte a una serie di difficoltà che non si possono affrontare da soli. Terza media, una scuola di Faenza. Obiettivo: non farsi notare, cercare di scivolare dagli sguardi di compagni e professori. Facile non essere visti quando non si è appariscenti nel comportamento e nel rendimento. Poi però le assenze diventano tante e con esse arriva la bocciatura. Si segnala ai Servizi sociali della Romagna faentina un inadempimento verso l’obbligo scolastico. Ma non è colpa di Sofia. A scuola ci sono alcuni professori che prendono sul serio le sue fatiche e inizia un lavoro di rete dei servizi del territorio di grande collaborazione con la scuola. Ci sono alcuni insegnanti, particolarmente empatici, che scelgono di modificare il loro modo di approcciarsi e il proprio setting scolastico per accoglierla. Si sintonizzano con lei. Si fa un piano personalizzato e un’educatrice la accompagna a scuola: è lì per lei, per rendersi via via superflua.
Dalla crisi in terza media al diploma delle Superiori
Una presenza che è certezza, rassicurazione, via d’uscita nei casi peggiori. «Uno sguardo, un occhiolino e ci capiamo. Se proprio non ce la fai, ci sono io. So che per te è difficile», si sente dire Sofia che via via acquisisce sicurezza. Sente che l’educatrice c’è, la scuola c’è. Allora anche se sa di poter andare via da scuola, a scuola ci resta. Anche a casa le cose vanno meglio: gli educatori lavorano anche con la famiglia entrando in punta di piedi in abitudini domestiche con le quali creare una quotidianità che ha un grande significato e che allevia anche il peso della famiglia che faceva propria l’ansia di Sofia. Arrivano le superiori e continua questo “allenamento” ad affrontare le possibilità della vita. La scuola diventa una palestra di vita e non è più il luogo da cui fuggire.
Grazie al lavoro di rete tra Servizi sociali e altri enti, la scuola è tornata a essere palestra di vita
Anche alle Superiori la prendono sul serio e vengono predisposte per lei tante cose che possano aiutarla. Sa di essere pensata e questo fa tutta la differenza possibile perché così sa di potersi fidare. Arriva la maturità e Sofia prende il diploma, con tutte le sue fatiche che fanno parte della sua storia, della rete degli eventi che l’hanno fatta diventare grande. Il lavoro di chi educa funziona quando è un lavoro di rete. Non si cresce da soli e da soli non si può aiutare a crescere.
E Sofia lo sa. E sa che nella vita la differenza più grande la fanno gli incontri che facciamo, quegli intrecci fatti di sguardi e di empatia, che ci uniscono agli altri insegnandoci la vera libertà.
Gli hikikomori, in Italia se ne stimano 100mila
Con il termine hikikomori, di derivazione giapponese, s’intende una persona che ha scelto di scappare fisicamente dalla vita sociale, spesso ricorrendo a livelli estremi di isolamento e confinamento. Questa scelta può essere indotta da fattori personali e sociali di varia natura, tra cui la grande pressione verso autorealizzazione e successo personale cui l’individuo è sottoposto fin dall’adolescenza. Gli hikikomori italiani, secondo stime non ufficiali, sono circa 100mila: si tratta soprattutto di giovani uomini, di età compresa tra i 14 e i 30 anni, e la pandemia ha incrementato questo fenomeno.
Letizia Di Deco