La festa dell’8 marzo si costruisce tra storia e leggende che riguardano le donne e il loro sacrificio subito o scelto per la società. È un tema ricorrente quando parliamo di donne, legare la loro figura a quella della giusta propensione all’accettazione della sofferenza. Ce lo raccontano anche le figure di santità che la Chiesa ha proposto negli ultimi decenni, moglie e madri disposte al sacrificio della vita per dare alla luce un figlio. Lungi da me voler sollevare nessuna ombra sul valore e la virtù di tutte quelle donne che portano sulle loro spalle il peso del mondo.
Ma mi piacerebbe poter offrire loro un luogo di ristoro, uno spazio in cui posare il fardello del “dover essere” e avere la possibilità di essere meno multitasking, efficienti e sole, per essere solo e semplicemente se stesse e insieme. Vorrei immaginarlo così questo 8 marzo, un momento tra amiche, che depongono lo stereotipo che vuole le donne competitive tra loro, per incontrarsi, lì, nelle situazioni di vita che vivono, senza paura di essere troppo o troppo poco, senza doversi esibire come giocolieri con l’onere di tenere in equilibrio carriera, famiglia, figli, immagine sociale e sentirsi in colpa se non ce la fanno. Confesso di avere sempre avuto delle riserve su questa festa, così come sulle quote rosa e tutte le realtà che considerano la donna come una specie protetta.
Eppure è vero che siamo ancora così vulnerabili. Lo siamo perché, a parità di competenze e titoli, le nostre retribuzioni sono ancora inferiori; lo siamo perché i datori di lavoro continuano a discriminare le donne che hanno una famiglia; lo siamo perché siamo vittime anche inconsapevoli di modelli fisici e comportamentali, e anche quando ci sentiamo libere di infrangerli, finiamo col doverci giustificare. Lo siamo, ancora, perché in troppe parti del mondo le donne non godono di diritti e di libertà; lo siamo perché in Iran si è scoperto che centinaia di bambine sono state avvelenate per poter chiudere le scuole femminili, perché in Afghanistan viene cancellato il volto delle donne, la loro figura femminile, il loro diritto ad una identità. Siamo estremamente vulnerabili perché vittime di tratta, costrette a lavori umilianti, screditate nella nostra dignità, ridotte a merce di piacere per uomini che non sanno più che cosa significhi essere uomini. Potrei continuare all’infinito.
Ma non siamo solo creature bisognose di tutela. Siamo persone competenti, che offrono alla società contributi importanti per sua la crescita, capaci di prendere in mano la nostra e l’altrui vita e di regalarle nuove prospettive. Conosco donne che non hanno mai smesso di reinventarsi, e non perché siano straordinarie, ma perché nel loro ordinario vogliono fiorire e far fiorire la vita attorno a sé. Rimango dell’idea che non abbiamo bisogno di una festa in cui essere celebrate, ma di imparare a celebrare insieme ogni giorno la verità di cosa significhi essere donna, compiendo passi concreti perché nessuna rimanga indietro.
Nella speranza che questo augurio possa raggiungere più donne possibile ogni giorno:
Non necessariamente
Devi confermare le aspettative altrui.
Puoi restare imprevedibile e libera e grata“, Manuela Toto, poetessa.
Maria Giovanna Titone