La bellezza come mezzo per andare oltre la superficie della realtà, senza paura di intraprendere strade nuove in dialogo con il mondo e con Dio. Una bellezza a cui tutti devono poter attingere, dagli esperti d’arte ai bambini. E poi una cura preziosa della tradizione, con il restauro e la valorizzazione di un patrimonio antico che rappresenta un bagaglio culturale da non disperdere e che si vuole in futuro valorizzare sempre di più. Per tracciare un bilancio del cammino che sta portando avanti il Museo Diocesano di Faenza abbiamo intervistato il direttore monsignor Mariano Faccani Pignatelli.

Intervista a mons. Pignatelli, direttore del Museo Diocesano

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Monsignor Pignatelli, qual è stato l’aspetto più gratificante di questi mesi di esposizioni a Santa Maria dell’Angelo?

Vedere frequentare i nostri spazi da persone di ogni estrazione. La chiesa di Santa Maria dell’Angelo si è riempita non solo di appassionati d’arte, ma anche semplici cittadini, famiglie, giovani, turisti. Pur con pochi mezzi a disposizione, siamo riusciti a intercettare uno spaccato molto variegato della nostra società, riuscendo a dialogare con pubblici diversi, e questo non è scontato. Inoltre, parallelamente alle nostre esposizioni, abbiamo proposto anche attività, eventi e laboratori collaterali, per esempio a quelli svolti con le scuole. Alla luce di tutto questo, penso sia passato il messaggio della nostra proposta culturale: non vogliamo proporre solo sensazioni effimere, ma un percorso globale più ampio in cui la Chiesa invita al dialogo, a un ragionamento, a crescere assieme.

Quali sono state le reazioni dei visitatori a questa proposta?

Mi ha colpito molto durante una mostra il commento di un’operatrice culturale che ha detto che la nostra Diocesi ha il coraggio di fare questo tipo di sperimentazioni. Ha detto di ammirare il nostro «farci maestri dell’umanità». Ricordo poi lo stupore delle persone di fronte a certe opere, come i mosaici di Altrove, e il vedere come la gente può farsi trascinare dalla bellezza e dal pensiero verso gli spazi infiniti dell’universo. Alcune critiche ci sono state, è inevitabile, ma partiamo sempre dal presupposto che la Chiesa è un organismo vivo, così come la liturgia. Non possiamo riproporre passivamente schemi del passato, le cose devono essere vivificate con la nostra presenza, e la nostra presenza non può che essere attualità, che dobbiamo valorizzare con il nostro linguaggio proprio. La Chiesa deve essere in dialogo con l’uomo oggi.

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Su quali direttrici avete impostato questo percorso?

Il dialogo tra antico e contemporaneo. Si sono seguite due linee parallele. Da una parte la valorizzazione del patrimonio artistico del Museo, e questo si è concretizzato con la mostra Disvelare il sacro, dedicata ai restauri delle opere svolti negli ultimi cinque anni. Si è trattato di spese supportate grazie ai fondi 8xmille. Dall’altra c’è il dialogo con la cultura del territorio e con l’arte contemporanea vicina all’arte religiosa e all’arte sacra. Una proposta importante per l’uomo di oggi, perché va controcorrente a tanti linguaggi e mode, spesso superficiali.

Che differenza c’è tra arte religiosa e arte sacra?

Nell’arte religiosa rientrano i temi fondamentali per l’essere umano, come la solidarietà, la giustizia, il percorso spirituale di ogni persona. Non ha un’esplicita valenza confessionale, ma può presentare profondi agganci con il Vangelo, che è totalmente divino ma anche profondamente umano. Una sorta di pre-evangelizzazione che parla tanto al credente quanto alla persona in ricerca. L’arte sacra invece si mette direttamente in relazione con la liturgia, che è incontro con Dio. La mostra che abbiamo dedicato a Giuseppe l’ebreo ha visto diversi momenti dedicati alla preghiera e in particolare alla preghiera per le vocazioni. L’allestimento che stiamo preparando dedicato a Romolo Liverani, a seguito del recupero della grande tela scenografica della Passione, va in questa direzione.

Il crowdfunding che avete promosso per recuperare la tela ha avuto un ottimo riscontro. Come proseguirà questo cammino?

La via Crucis cittadina quest’anno partirà proprio da Santa Maria dell’Angelo. Sarà una celebrazione che ci collegherà alla tradizione del passato, di fronte a questa immensa tela del maestro Liverani che rappresenta la Passione di Cristo. Pur guardando al passato, anche qui è importante l’attualizzazione delle opere d’arte, perché Gesù sulla croce è simbolo di un’umanità sofferente che ci parla ancora oggi. E di qualcuno che dà la vita per gli altri.

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Oltre alle esposizioni, si lavora ogni giorno per curare gli aspetti conservativi del patrimonio artistico diocesano.

Al momento gli spazi propri del Museo, nel Palazzo vescovile, hanno una valenza conservativa e danno possibilità a studiosi di accedervi. Senza essere sotto grandi riflettori, c’è grande vivacità di studiosi, operatori e studenti che vengono ad analizzare le opere conservate, ci sono anche convenzioni universitarie in tal senso. La sfida che abbiamo di fronte, legata agli aspetti conservativi e di deposito, è un problema che riguarda tutto il nostro Paese. Come farà l’Italia che sta invecchiando terribilmente a mantenere e valorizzare il suo patrimonio con i pochi mezzi economici a disposizione? E in tutto questo il cambio di leggi e la burocrazia non ci vengono in aiuto.

Come è nata la passione per l’arte?

L’arte è sempre stata una dimensione fondamentale della mia sensibilità, specialmente l’arte antica. Fin da piccolo i miei famigliari mi portavano a vedere grandi opere a Ravenna o a Firenze. Mi spiegavano con grande semplicità che erano cose belle dell’umanità. Questa dimensione è poi entrata a far parte di me, è una ricerca appassionata e continua.

Samuele Marchi