“Chi crede non è mai solo”. Padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, utilizza questa frase di Joseph Ratzinger, citata anche da papa Francesco nella prima udienza del 2023, per tratteggiare, nel giorno dei funerali in piazza San Pietro, la figura di Benedetto XVI, definendo i suoi otto anni di pontificato e i dieci anni in cui ha vissuto “nascosto al mondo” da Papa emerito “una testimonianza di fede da parte di un servitore della fede”.
Intervista a padre Lombardi
Il dato più eclatante di questi giorni è la folla ordinata e composta che ha reso omaggio a Benedetto XVI, raggiungendo cifre che sono apparse da record: è una sorpresa?
Sicuramente è un fatto che ha colpito e che fa riflettere e stupisce. Dieci anni da Papa emerito sono un periodo lungo: ciò che abbiamo visto in questi giorni è la testimonianza che la gente ha continuato a seguire e a sentire Benedetto XVI vivo e presente. Certo, ogni tanto vedevamo alcune immagini e testimonianza di persone che lo incontravano, non era dimenticato, ma il suo pontificato era chiuso da dieci anni e nel frattempo ne era cominciato un altro molto attivo e pieno di avvenimenti che si sono succeduti. Credo che l’attenzione nei confronti di Joseph Ratzinger sia molto sincera: le migliaia di persone che si sono messe in fila per rendergli l’ultimo omaggio sono persone rispettose, raccolte, che passano volentieri in basilica per pregare. Tutti segni, questi, di un rapporto tutt’altro che esterno o superficiale con il Papa emerito.
Più di quanto una comunicazione superficiale abbia colto, la gente è rimasta legata a questo papa, convinta di aver ricevuto un grande servizio da un papa che durante gli otto anni di pontificato ha testimoniato una fede profonda e consapevole, capace di riflettere e dialogare con la cultura del nostro tempo, preoccupandosi anche di sostenere, in modo dignitoso, le proprie posizioni, manifestando i rischi per le situazioni che vediamo, sempre però con grande rispetto e proponendosi di sviluppare il dialogo – come lui stesso ha detto – tra fede e ragione come strumento per cercare insieme la verità e aiutarci a trovarla. Dopo la rinuncia, la sua testimonianza si è trasformata in offerta di preghiera silenziosa per la Chiesa e di sostegno incondizionato al suo successore.
All’indomani dei funerali, c’è già chi chiede di nominarlo dottore della Chiesa o proclamarlo santo subito.
Credo che su un tema come questo l’atteggiamento da adottare debba essere molto cauto e prudente. Serve il tempo necessario per riflettere. Il grande valore del pontificato di Joseph Ratzinger, e di conseguenza della sua testimonianza, è oggettivo e sotto gli occhi di tutti, come dimostra la sua poderosa Opera Omnia. Non mi preoccuperei, in questo momento, di dichiarazioni formali: è giusto prendere atto, riconoscere, continuare ad approfondire la sua eredità, incentrata tutta sul binomio tra fede e ragione e sulla volontà di portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, dialogando con il nostro tempo e misurandosi con i suoi cambiamenti.
Come portare avanti la sua eredità?
Dobbiamo coltivare l’eredità di Joseph Ratzinger come un frutto per il cammino della Chiesa in avanti. La sua lettura del Concilio ha un volto lungimirante: non si può ridurlo ad una diatriba tra conservatori e progressisti. Il grande impegno della Chiesa, secondo la lezione conciliare raccolta da Benedetto XVI, è quello di riformularne la missione in un tempo di profondi cambiamenti.
Fede e ragione, il rapporto con la scienza, i cambiamenti antropologici, il rapporto con le grandi religioni, l’ecumenismo, sono i campi in cui il Concilio continua a dare frutti. E questi frutti sono stati coltivati e sviluppati nel tempo da Joseph Ratzinger.
Dal giorno in cui Papa Francesco ha chiesto di pregare per il Papa emerito ammalato la copertura mediatica è stata massima. In parallelo ai ritratti di Joseph Ratzinger, sul piano della comunicazione è riapparso immediatamente il meccanismo binario che ha caratterizzato i dieci anni di “coabitazione” tra i due papi, con le letture delle due rispettive “tifoserie”. È una lettura corretta?
Se devo giudicare i dieci anni in cui nella Chiesa sono stati presenti un Papa regnante e un Papa emerito devo dire che è andata benissimo. Per la gente intelligente è stato sempre chiaro che c’era un papa in carica, Francesco, e un altro che era stato papa e che pregava per noi e non interferiva in nessun modo con il governo della Chiesa, manifestando invece la sua solidarietà spirituale e accompagnando la Chiesa e il suo successore nella preghiera e nella solidarietà. Se si ha uno sguardo sufficientemente libero, si arriva a una valutazione estremamente serena e positiva di questo periodo, in cui Papa Francesco, come lui stesso ha ripetutamente detto, ha potuto contare su un uomo saggio che ha accompagnato il cammino della Chiesa. L’immagine dei due papi che pregano insieme a Castelgandolfo, in questo senso, rimane emblematica ed indimenticabile.
A suo avviso la rinuncia di Benedetto XVI aprirà la strada a quella di Papa Francesco?
Questo solo Papa Francesco lo sa e potrà valutarlo. Esistono situazioni della vita molto diverse. Benedetto XVI ha interpretato nella preghiera, interpellando la sua coscienza, la sua situazione e con molta lucidità ha colto il diminuire graduale delle sue forze, che non gli permetteva più di esercitare in modo adeguato il ministero petrino. E’ stato coerente con la sua personalità, basandosi su quella “ragionevolezza” della fede che cita anche nel suo testamento spirituale. E’ indubbio che abbia aperto una strada, in un tempo come il nostro, in cui la vita si sta allungando e i problemi legati all’età incidono sempre di più. In questo senso, la rinuncia è un fatto importante, che può essere d’aiuto anche per i suoi successori.
Fonte: Sir