Allora, me lo immagino che vi state chiedendo come mai quest’anno – arrivati ormai a fine ottobre – non vi ho ancora ammorbato con le cronache dello stand della sagra sul sagrato. E, soprattutto, so che mi vorreste chiedere «Ma quest’anno non le fai le bruschette allo stand del prete?». In realtà, questa cosa me l’hanno proprio chiesta, domenica mentre ritornavo verso casa. Cioè, me l’ha chiesta Deborina, che non so se rappresenta proprio l’umore della popolazione marradese, però – vabbè – una fan è una fan.
Calma e gesso, comunque, perché da quando Fortunata mi ha mollato – con un’operazione abilissima e indolore – l’incarico di corrispondente marradese per Il Piccolo (vai tranquillo, non c’è problema, ti cercano gli altri per fornirti un articolo e così via), devo un po’ cercare di incastrare ogni cosa. Poi, a dire il vero, ho partecipato un po’ a sprazzi allo stand della parrocchia perché nel fine settimana devo seguire anche la mia squadra di adolescenti, una mista Marradi-Brisighella fonte di solenni incazzature ma anche di gran divertimento perché – si sa – stare con i giovani è sempre divertente. Perciò, impegnato in trasferta con i miei ragazzi, ho dovuto saltare la seconda, affollatissima, sagra, quella dei parcheggi selvaggi, dello stand saccheggiato, delle grandi file lungo la statale e delle epiche attese al famigerato semaforo di S. Eufemia.
Così, questa settimana mi sono presentato con il mio grembiule juventino a bruschettare. E, d’altro canto, non avrei potuto fare altrimenti, visto che ero stato “garbatamente” richiamato all’ordine dalla signora Grazia, meglio conosciuta – immaginate voi il perché – come la Merkel da tutti gli operatori dello stand, dove ho ritrovato quasi tutti i non giovanissimi operatori degli anni precedenti. E, come gli anni scorsi, è stata la solita giornata di ordinaria follia, partita piano con la solita previsione del piffero («Mi sa che oggi viene poca gente») ma poi la signora che stazionava di fianco al ponte ha iniziato a cantare (la sua “Vorrei la pelle nera” mi è rimasta nelle orecchie ma non riuscirà a sostituire la “Jump” di Bassetti nel mio cuore) e la gente è arrivata, in auto, in pullman, in camper, in treno (qualcuno addirittura accompagnato da Dante in persona!) a invadere allegramente il nostro paese. Di lì in poi è partita l’abituale serie interminabile di bruschette, tagliatelle, tortelli, bruschette, patatine, dolciumi vari, carne alla griglia, ancora bruschette e via discorrendo. Nel pieno della giornata alzo gli occhi e mi trovo davanti il mio collega Mauro (che poi sarebbe uno dei Fabret di S. Andrea, così faccio il mio piccolo omaggio a “Di palo in frasca” che leggo sempre volentieri, n.d.a.) con tutta la sua tribù, comunque meno numerosa dei suoi trattori d’epoca. E continuo con aglio e olio, indicazioni sui bagni, consigli turistici, battute abusate sull’età delle bariste, mentre Margherita (le foto sono sue), una signora americana che vive a Marradi ed è venuta a dare una mano, mi sembra sinceramente divertita di trovarsi in mezzo a questa bolgia. Arrivano ottime recensioni sulle mie bruschette, qualcuno chiede dove sono finiti i certificati Tripadvisor e l’unico operatore che riesco a vedere – oltre ai camerieri – è Flavio Trivilì, uscito dalla postazione griglie per verificare la situazione e insultarmi per il grembiule bianconero.
Alle 15.30, dopo avere lavorato una quindicina di chili di pane e servito pure una ventina di caffè (sono multitasking), preparo l’ultima bruschetta e cerco di mangiare qualcosa: niente da fare, è finito quasi tutto, farò merenda a casa. Ne approfitto per salutare Laura e Patrizia che mandano avanti la baracca, le donne addette alle minestre, don Pino addetto alle patate fritte e il Lucio addetto all’agitazione e me ne vado verso casa, attraversando il grande zibaldone della sagra: i marroni, i formaggi, il brulè di melograno, i torroni, i croccanti, la mostra micologica, l’istituto “Artusi” di Riolo Terme, i banchetti degli hobbisti, il vino, gli hamburger di Agri.Comes, i cappelli, i bijoux, i cappelletti da passeggio, i tizi che vendono coltelli, gli alpini che ballano, i maglioni dei peruviani (non c’è sagra/fiera senza i maglioni peruviani), i bar presi d’assalto, i tessuti con la stampa romagnola, i cuscini di noccioli di ciliegio, gli arrosticini abruzzesi, quelli che bivaccano sulla scalinata e quelli si fermano davanti alla caciara della Compagnia (con una bella commistione tra vecchi e giovani) formando un tappo all’ingresso del paese e tutto quello che mi vado dimenticando.
Dai, ce l’abbiamo fatta anche stavolta. Domenica si ritorna in pista, con l’ultima domenica di sagra, forse troppo vicina ad Ognissanti ma ancora con tanti marroni (quest’anno davvero dolcissimi) per chi vorrà venire, anche se io – ahimé – non ci sarò dato che ho la partita. Però ci rivediamo di sicuro l’anno prossimo.
Perché – si sa – stare con i giovani è sempre divertente. Ma anche con quelli più attempati mi diverto un sacco.
Andrea Badiali