«Come ti chiami?», «Che cosa vuoi fare da grande?». Raccontarsi, immaginare il proprio futuro e condividerlo con altri. Questo è la scuola, questo è il «luogo in cui si intensifica la vita» come dice Eraldo Affinati, scrittore e insegnante, fondatore della scuola di italiano per migranti Penny Wirton presente anche a Faenza dal 2017, ospite lo scorso 10 ottobre del gruppo scuolaparlante al liceo Torricelli-Ballardini. Trovarsi in un paese che non è il proprio significa trovarsi senza parole. Questa è la prima difficoltà di chi arriva nelle nostre città in cerca di un futuro migliore. Davanti a questa difficoltà c’è però fortunatamente una mano tesa: la mano di liceali faentini che al pomeriggio diventano insegnanti in una delle 54 Penny Wirton attive in Italia. Una scuola in cui non servono documenti o particolari requisiti: il libro più importante è la voglia di imparare e la matita più efficace è la pazienza dei giovani prof che in un rapporto uno a uno tessono un filo fatto di parole nuove che servono per raccontare la propria storia.
“Insegnare è costruire una relazione. Giovani prof, mettete in conto il rischio di sbagliare, ma è solo così che si è autentici”
«La vera integrazione – dice Affinati – non è cambiare identità, ma metterla in gioco. La scuola passa solo dalla relazione autentica, da un filo che si può anche spezzare, ma che cuce vere relazioni umane e non si ferma alla valutazione». Il segreto che ribadisce Affinati è quello che insegna don Milani: guardare ognuno come se fosse unico al mondo, «prendersi cura dello sguardo dell’altro» anche accettando il rischio di perdere, di sbagliare, cercando di trovare la strada giusta per ciascuno. Ecco allora che persino il voto acquisisce un significato diverso, «è giocare a carte scoperte; è decidere insieme l’obiettivo e raggiungerlo tutti partendo tutti da punti diversi».

Ecco allora che possiamo parlare di ius scholae come di qualcosa che fa parte della nostra vita, che va oltre le tante discussioni politiche e burocratiche e appare semplice, come una scritta su una lavagna. È un diritto già scritto nel gesto rivoluzionario di accogliere, già scritto nei racconti dei giovani volontari della Penny Wirton. Nelle parole di Linda, giovane liceale di Penny Wirton, che in «tavoli con tre o quattro nazionalità diverse, età diverse, vissuti diversi, passioni diverse» ha scoperto che «ridiamo tutti per le stesse cose». Una scuola che, come dice Emma, «è una grande città. Ci si costruiscono case per ripararsi, strade per poter viaggiare, ponti per unire ma anche piazze per discutere e incontrarsi, per sentirsi parte dello stesso mondo. Una bellissima città, dove vivono persone di tutte le età che respirano il vero senso della libertà».
Letizia Di Deco