#184 Il segno della croce
Intendiamoci, il 25 traccerò comunque la mia croce. La piazzerò nel solito posto, un po’ per abitudine, un po’ per dovere, un po’ perché è il male minore, almeno dal mio punto di vista. Del resto il Parlamento è come il minestrone: può piacere o non piacere, ma in una dieta sana le verdure restano un male necessario. Dopotutto, con l’inverno alle porte e il gas razionato, andrebbe bene pure una minestra riscaldata.
Che poi c’è minestrone e minestrone. Se la verdura è buona e il brodo un po’ ristretto, anche il minestrone diventa una leccornia. Ci vorrebbe più verdura buona. Anzi, più verdure buone. Non si fa un minestrone solo con le cipolle o solo con il sedano, le verdure ci vogliono tutte, ciascuna col proprio sapore. Ma che siano di prima scelta, e maturate al sole di ideali genuini, non nelle serre private dei dirigenti di partito. Ho provato a immaginare un “patto per il bene comune”, un programma condiviso nazionale e trasversale, una lista di minimi comuni denominatori su cui politici di diversi schieramenti possano convergere, ciascuno con il proprio “sapore”. Io uno così lo voterei, uno che si impegni pubblicamente, insieme ai propri avversari, a raggiungere almeno un obiettivo condiviso, tra i tanti che gli sono peculiari. E che poi ne renda conto a tutto il corpo elettorale, perché a quel punto non può più nascondersi, non può più dire “parlavo solo ai miei elettori”.
Potrebbe essere un buon modo per selezionare verdure buone da buttare in quel pentolone che chiamiamo Parlamento. È un lento processo di sostituzione: oggi una cipolla, domani una carota, un po’ alla volta scommetto che il minestrone comincerebbe a piacermi. La ricetta cambierà elezione dopo elezione, ciascun elettore doserà secondo il proprio gusto, ma sarà la qualità degli ingredienti a fare la differenza. Sono ingenuo? Intanto il 25 traccerò la mia croce. Un segno di croce con la matita e uno con la mano. E che Dio ce li mandi buoni…
a cura di Claudio Di Filippo