Quando l’ allenatore cade nell’errore di pensare che non è più seguito dalla propria squadra a causa di incomprensioni con i propri giocatori perché si gioca male o si perdono troppe partite, ogni” mister” deve combattere contro il rischio della “smemoratezza”, cioè dimenticare ciò che di buono e bello si è fatto fino a quel momento tutti insieme. I problemi di relazione all’interno della squadra nascono sempre dalla “dimenticanza”. Se Dio, nella Bibbia, non chiede tanto di aderire a dei valori, ma di fare memoria, si comprende che i rapporti tra le persone spesso si rompono per “dimenticanza”.
Dio ci invita a fare memoria della sua azione, delle sue opere, della sua parola anche per quanto abbiamo vissuto nello sport. Occorre ricordare gli eventi, i fatti, le sofferenze della propria storia sportiva: anche attraverso di essi il Signore ci ha parlato e si è manifestato a noi! Sappiamo che solo attraverso la memoria la storia diviene tale e può divenire storia di salvezza. Dio stesso è il Dio che salva perché si ricorda della sua alleanza, della sua fedeltà, della sua misericordia. E si ricorda della fragilità umana. Durante l’esodo, alle numerose dimenticanze colpevoli del popolo, Dio non oppose la distruzione, ma “misericordioso, perdonava la colpa, ricordava che essi sono carne” (Sal 78,39). Lo Spirito dunque attiva la memoria di Dio e della sua opera in noi. Ed è proprio la memoria dell’opera di Dio che ci fa comprendere che la sua opera è fondata sempre sulla compassione e sul perdono per ogni essere umano, per tutte le creature. L’esperienza della compassione e del perdono diventano anche per noi il cuore delle nostre relazioni, soprattutto quelle verso le persone vicine anche quando svolgiamo attività apparentemente di poco valore come lo sport, ma sempre importanti in questa ottica agli occhi di Dio.
Giacomo Abate Responsabile Formazione Csi Emilia–Romagna e Faenza