E’ stato aperto dell’intervento del vescovo della Diocesi di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso, il convegno promosso dalla Pastorale sociale e del lavoro che si è svolto sabato 30 aprile in Seminario. L’incontro, dal titolo Lavoro, scuola, formazione professionale: la sicurezza innanzitutto ha visto gli interventi di Mauro Neri (presidente Confcooperative Romagna), Davide Servadei (presidente Confartigianato Emilia-Romagna), Assuero Zampini (direttore provinciale Coldiretti Ravenna), Francesco Marinelli (segretario generale Cisl Romagna), Maria Luisa Martinez (consigliere provinciale con delega all’istruzione) e Giuseppe Pagani (presidente Aeca). Le conclusioni sono state affidate a Flavio Venturi, incaricato alla Pastorale Sociale. L’incontro è stato moderato dal direttore de il Piccolo Samuele Marchi.
Di seguito riportiamo l’intervento integrale del vescovo Mario, che è anche componente del comitato scientifico delle Settimane sociali dei Cattolici italiani.
L’intervento del vescovo Mario al convegno del 30 aprile: La vera ricchezza sono le persone
Una prima affermazione, che è evidenziata per mettere in luce la chiave di approccio alla tematica del lavoro e ai problemi che lo riguardano, è la seguente: «La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia». Subito dopo si spiega con le parole di papa Francesco perché dobbiamo aver cura della sicurezza dei luoghi di lavoro: «La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore».[1]
Con questo attacco o ouverture il Messaggio ricorda a tutti noi, impegnati nella evangelizzazione ed umanizzazione del lavoro, l’importanza della visione personalista del lavoro, del lavoro «actus personae», non semplice «cosa», non merce, non mera attività tecnica.
Scenario drammatico
Lo scenario che abbiamo davanti è drammatico: nel 2021 sono stati 1.221 i morti (dati Inail), cui si aggiungono quelli “ignoti” perché avvenuti nelle pieghe del lavoro in nero, un ambito sommerso in cui si moltiplicano inaccettabili tragedie. Tra i settori più colpiti ci sono l’industria, i servizi, l’edilizia e l’agricoltura. Ma non ci sono solo le morti: ci sono infortuni di diverse gravità che esigono un’attenzione adeguata, come ci sono le malattie professionali che pure domandano tutela della salute e sicurezza. In breve, si può affermare che ci sono interventi urgenti da attuare, agendo su vari fronti. E questo perché la nostra coscienza è interpellata anche da quanti sono impegnati in lavori irregolari o svolti in condizioni non dignitose, a causa di sfruttamento, discriminazioni, caporalato, mancati diritti, ineguaglianze. Il grido di questi nuovi poveri sale da un ampio scenario di umanità dove sussiste una violenza di natura economica, psicologica e fisica in cui le vittime sono soprattutto gli immigrati, lavoratori invisibili e privi di tutele, e le donne, ostaggi di un sistema che disincentiva la maternità e “punisce” la gravidanza col licenziamento. Tra le cause degli infortuni e delle cosiddette «morti bianche» c’è da annoverare la precarizzazione che costringe molti lavoratori a cambiare spesso mansione, contesto lavorativo e procedure, esponendoli a maggiori rischi. Le mansioni più pericolose sono affidate a cooperative di servizi, con personale mal retribuito, poco formato, assunto con contratti di breve durata, costretto ad operare con ritmi e carichi di lavoro inadeguati, in una combinazione rovinosa che potenza il rischio da errori fatali.
Direttive per una cultura della cura del lavoro. Quali i pilastri?
Tra i pilastri per una cultura della cura del lavoro e della sua sicurezza, per i vescovi italiani, sono da porre:
- il valore soggettivo e personale del lavoro, quello che è definito «capitale umano», vale a dire «gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto membri di una organizzazione» (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 276);
- la complementarità tra lavoro e capitale, che supera una antica antinomia attraverso sistemi economici dal «volto umano», così che la principale risorsa rimanga l’uomo stesso;
- le condizioni di un lavoro sicuro e dignitoso, misure protettive e vigilanza nelle imprese, antidoto a conflitti sociali ed economici;
- una cultura della cura, nutrita dalla Parola di Dio, che impedisce la strumentalizzazione del lavoro al profitto;
- l’educazione e la tutela dei più deboli nel mondo del lavoro, che evidenziano il lavoro come diritto e dovere fondamentale della persona e che facilitano il riscatto del lavoro dalla logica del profitto;
- investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie, nella formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro;
- inserimento nei programmi scolastici e di formazione professionale della disciplina relativa alla salute e alla sicurezza del lavoro;
- i dovuti controlli da parte dello Stato e dei sindacati sulle condizioni di sicurezza sul posto del lavoro.
A mo’ di breve conclusione
Con l’impegno a rendere il lavoro più umano, partecipativo, creativo, solidale, il pensiero deve andare a chi ha perso la vita nel compimento di una professione che costituiva il suo impegno quotidiano, l’espressione della sua dignità e della sua creatività, e anche alle famiglie che non hanno visto far ritorno a casa chi, con il proprio lavoro, le sosteneva amorevolmente. Così come non possono essere dimenticati tutti coloro che sono rimasti all’improvviso disoccupati e, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. La nostra preghiera, la fiducia nel Signore amante della vita e la nostra solidarietà siano il segno di una comunità che sa «piangere con chi piange» (cf Rm, 8,15) e di una società che sa prendersi cura di chi, all’improvviso, è stato privato di affetti e di sicurezza economica. + Mario Toso
[1] Francesco, Discorso all’Associazione nazionale dei costruttori edili (20 gennaio 2022).