Condividere emozioni e culture diverse con l’arte della fotografia. È questo ciò che si propone di fare il progetto No borders a cura del Gruppo fotografia Aula 21 e associazione Pigreco. Il laboratorio, supportato dal Corpo europeo di solidarietà, è partito da qualche settimana e coinvolge diversi richiedenti asilo e giovani del volontariato europeo del territorio che sono aiutati a integrarsi sia acquisendo competenze in materia fotografica sia condividendo i propri scatti.
Un progetto d’integrazione con la fotografia, tra le partecipanti anche 4 ragazze eritree ospitate dall’Ami
Per superare le difficoltà delle barriere linguistiche, Aula 21 ha deciso di puntare sul linguaggio universale delle immagini. «In questo modo si crea un vero interscambio, sullo stesso piano, tra tutti – racconta Filippo Mazzotti, 20 anni, responsabile del progetto – ed è una ricchezza anche per noi. Abbiamo infatti modo di conoscere le culture di provenienza di stranieri e richiedenti asilo e il loro punto di vista su svariati temi. In questo senso, è un progetto arricchente per tutti, che mette tutti sullo stesso piano e vuole dare vita a un dialogo vero, senza pregiudizi. La stessa immagine può avere un significato diverso a seconda di chi la guarda. Il nostro sguardo occidentale può interpretare una foto in maniera opposta a quella di una persona proveniente dall’Africa e viceversa: per questo si crea un dialogo forte».
I partecipanti dialogheranno su 4 temi: religione, cibo, senso di comunità e abitare gli spazi
Tra i partecipanti figurano richiedenti asilo dalla Nuova Guinea e anche quattro ragazze ospitate alla casa Ami di Fognano, arrivate tramite i corridoi umanitari supportati dalla Diocesi. Si aggiungono poi diversi giovani che stanno svolgendo un periodo di volontariato europeo tramite Pigreco e che vengono da Spagna, Irlanda e Francia. Dopo aver approfonditole principali tecniche di fotografia, i partecipanti svilupperanno quattro temi: la religione, il cibo, il senso di comunità e il modo in cui abitiamo gli spazi. «Sarà l’occasione per fare delle uscite in giro per la città o anche oltre – sottolinea Mazzotti – e ci piacerebbe concludere il progetto, della durata di sei mesi, con una mostra pubblica nella quale condividere il percorso fatto». In attesa di questo momento, si sono già svolte due lezioni. «Si è creato subito un bel clima – conclude Mazzotti – in particolare le ragazze eritree hanno mostrato diverse foto della loro cultura, per esempio dei matrimoni, e ci hanno raccontato il significato particolare che hanno i colori dei loro vestiti. Tra i temi più ricorrenti c’è quello della famiglia e anche di persone che non sono più nella loro vita. Data la loro esperienza lontana dal Paese d’origine questo è comprensibile».