Scusate se aggiungo l’ennesima opinione non richiesta, ma questa storia di Djokovic ha un potenziale tragicomico senza precedenti. Penso che la faccenda si sarebbe risolta in una normale notizia di cronaca, opportunamente cavalcata dalla propaganda pro o contro i vaccini, se in sua difesa non fossero intervenuti i genitori. Prima il padre, paragonando il figlio a Gesù crocifisso – e chissà a chi intende paragonare se stesso, se a San Giuseppe, allo Spirito Santo o direttamente al Padreterno. Poi la madre – stabat mater! – denunciando le condizioni critiche della sua detenzione: rinchiuso nel Park Hotel di Melbourne con soli due pasti al giorno, senza colazione né finestre affacciate sul parco.
Il resto della storia è un susseguirsi di colpi di scena, schiacciate sottorete, rimbalzi sulla riga e salvataggi in extremis, come una storica finale di tennis. Al momento in cui scrivo la partita è ancora in corso e gli altri “poveri” giocatori si dicono stufi, mentre da questa parte del mondo si discute ancora di obbligo vaccinale.
Chi vincerà? Il “Messia del tennis” o i proverbiali, inflessibili doganieri Australiani? Assistiamo divertiti, ma non troppo. Così commenta Luigino Bruni: “La saga Djokovic dice molte cose e tutte molto tristi. È una clamorosa ulteriore dimostrazione che nel mondo comandano i soldi. […] Testa di serie numero uno di un mondo sbagliato dove miliardi di non-Djokovic solo espulsi ogni giorno solo perché sono poveri. […] E poi continuiamo a lottare, in direzione sempre più ostinata e contraria, accanto alle teste di serie dei tornei degli scartati della plutocrazia”. È così che va: comico e tragico si incontrano dove l’umanità impazzisce.
a cura di Claudio Di Filippo