I fari delle auto in corsa illuminano la loro silhouette ai bordi della strada, altre volte camminano in tondo nelle piazzole dei distributori di benzina. Il loro volto spesso è illuminato dalla luce dello schermo dello smartphone e si tengono compagnia ascoltando musica con le cuffiette. La via Emilia, nel tratto tra Imola e Faenza, è una strada su cui sfrecciano molte auto e in cui si incrociano volti e storie. Questa strada è percorsa anche dai volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII che incontrano le donne prostituite per offrire loro un contatto umano e fraterno, forse l’unico che hanno nelle loro notti passate sulla strada.
La testimonianza di una volontaria dell’unità di strada
«Dopo una lunga pausa dovuta alla pandemia, stiamo riprendendo a uscire, per ora due venerdì al mese» racconta una delle responsabili dell’unità di strada, servizio svolto da una ventina d’anni sul territorio faentino. «Iniziamo fermandoci davanti al Crocifisso per affidare nella preghiera tutte le donne che incontreremo. Poi partiamo e ci rendiamo subito conto che, dopo i vari lockdown e le restrizioni, la situazione in strada è cambiata».
Attualmente sono circa una decina le donne costrette a vendere il proprio corpo tra Faenza e Castel Bolognese; prima della pandemia erano almeno il doppio. Molte donne nigeriane non ci sono più e i loro soliti posti sono per ora vuoti. Altre donne invece sono sempre lì. «Allora ci avviciniamo – racconta la responsabile – abbassiamo il finestrino e le salutiamo. Ci rispondono che è tanto che non ci si vede, a volte sono timide, distanti e il rapporto di fiducia prima costruito sembra tutto da rifare. Altre volte sono felici di rivederci, ridono, ci raccontano, hanno freddo e prima di salutarci diciamo insieme un Padre nostro. Poi noi risaliamo in auto e loro restano lì e sanno che forse non avranno mai la forza di lasciare quel posto».
La violenza psicologica: “Facciamo ricordare loro di essere donne, non merce”
Prima della pandemia, un bicchiere di thè aiutava a iniziare una conversazione. Molte delle donne incontrate fanno capire che non hanno intenzione di parlare, altre invece danno fiducia, raccontano la propria storia, alcune fanno vedere le foto dei loro figli. «In particolare le ragazze africane provengono da famiglie povere, non scolarizzate – spiega la responsabile – e tramite la mafia nigeriana arrivano in Italia dopo un lungo peregrinare e false promesse. Diverse che stanno sulla via Emilia abitano in realtà in città distanti centinaia di km. Oltre allo sfruttamento fisico, è devastante quello mentale: queste ragazze non riescono più a pensarsi diversamente se non come prostitute. Pensano di non saper fare altro, smettono di sognare un futuro diverso e questo è l’aspetto più difficile da superare: farle ricordare di essere donne e non merce». La strada diviene una prigione, ma «qualche ragazza riesce a ribellarsi, a vincere la paura e lasciare la strada» racconta una mamma di casa famiglia della comunità, pensando a quattro donne che per anni, tutti i venerdì sera, l’unità di strada ha incontrato lungo la via Emilia. Nell’ultimo anno la loro storia è cambiata e ora sono accompagnate dalla comunità Papa Giovanni XXIII.
Il riscatto, i laboratori di pasta della Caritas
L’animatrice dell’ambito antitratta della zona Romagna racconta questi nuovi percorsi: «Devono ricostruire tutto ciò che la vita di strada toglie: la dignità, la capacità di sognare, la speranza, il rispetto della persona, l’amore. C’è chi vuole costruire una famiglia, c’è chi viene accolta, c’è chi prende la patente e chi si sperimenta in un tirocinio lavorativo, c’è chi parla italiano bene e chi invece deve iniziare ad andare a scuola. Ogni ragazza ha la sua storia, il suo percorso ma tutte sono un miracolo che piano piano si realizza davanti ai nostri occhi». Due donne nigeriane, grazie ai fondi 8xmille, frequentano i corsi di formazione di pasta fresca della Caritas diocesana, e, attualmente, stanno svolgendo un tirocinio in alcune pizzerie. «Ho iniziato questo servizio circa sei anni fa – racconta l’animatrice – quando ho cominciato il mio cammino vocazionale all’interno della Papa Giovanni XXIII. Ero in Portogallo, ospite di una casa famiglia. Mi colpì molto vedere quelle ragazze, che potevano essere mie sorelle, in quella condizione».
Il 26 novembre lo spettacolo al teatro San Giuseppe di Faenza
Nemmeno con un fiore. Il prezzo dell’amore è lo spettacolo teatrale nato per sensibilizzare il pubblico sul tema della prostituzione: la violenza di genere più diffusa in Europa. Andrà in scena venerdì 26 novembre alle ore 21 al teatro San Giuseppe in via Dal Pozzo 19 in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne.
L’intento è quello di comunicare, anche attraverso l’arte, il pensiero della Comunità Papa Giovanni XXIII sul tema dello sfruttamento sessuale, partendo proprio dall’esperienza maturata in più di 25 anni di unità di strada e di accoglienza di donne vittime di violenza. L’evento è Patrocinato dal Comune e realizzato col contributo dell’Unione della Romagna Faentina.