Una vita in missione. Il 26 settembre, nella sede della Riunione Cattolica Torricelli di Faenza, si è svolto l’evento conviviale in favore e in compagnia di padre Giovanni Querzani, missionario saveriano che svolge in Congo una significativa attività a favore dei più poveri.

Intervista a padre Giovanni Querzani, ospite della Riunione Cattolica Torricelli

Che cosa significa per lei essere missionario?

Essere quello che il Signore mi ha chiesto, cioè essere prete missionario è stato per me, giovane seminarista, un Suo dono gratuito. Ho sentito che il mio posto era accanto alle popolazioni più povere, perciò sono stato contentissimo quando sono stato destinato al Congo.

Come vive “l’essere chiesa” nella sua quotidianità?

Mi sono accorto con l’età che la cosa principale da fare è la preghiera; ci vuole anche l’attività, perché non siamo monaci, ma la preghiera è la cosa di cui il mondo ha attualmente più bisogno, difatti viviamo in una società in pieno degrado e che ha perso i valori spirituali. Nessun uomo è capace di recuperarli, solo Dio operando nel cuore della gente può far riscoprire questi valori. La gente ha bisogno della misericordia di Dio, come afferma spesso papa Francesco.

Quale consiglio darebbe a un giovane che sente nel cuore il desiderio di essere missionario?

Essere missionario vuol dire vivere la prossimità con la gente: è con l’impegno della prossimità che sono nate tutte le attività sociali a favore dei bambini e delle famiglie povere della città di Bukavu. Erano tutte iniziative non pensate a tavolino, ma nate per dare risposte concrete alle situazioni di bisogno che avevamo davanti agli occhi. Tanti hanno sentito racconti sulla situazione del Congo, ma solo quelli che sono venuti sul posto e hanno visto con i loro occhi quella realtà sono rimasti segnati nella loro anima e si sono poi impegnati.

Qual è la sua esperienza con giovani missionari?

In Italia c’è una terribile crisi delle vocazioni: anche nel nostro studentato non ci sono italiani, ma solo studenti del Congo, Burundi, Camerun, Indonesia… è possibile una collaborazione con i preti africani, nelle attività che svolgo e cerco di far loro capire che uno è prete per la gente, che è consacrato a Dio per la gente, per essere un po’ come era Gesù, presente fra la gente con la sua umanità.

Quali cambiamenti lei vive in Africa?

Tanti: abbiamo vissuto situazioni estreme di tutti i generi, alcune belle, ma tante drammatiche. Da 50 anni aspetto di vedere dei miglioramenti nella vita della gente e ancora non li ho visti. Siamo ancora al punto zero, ma c’è sempre la speranza che facilmente noi perdiamo, ma non gli Africani, e questo mi ha sempre colpito: nonostante le sofferenze hanno un’enorme capacità di sopportazione. Non si scoraggiano come noi e aspettano sempre un esito positivo, che magari tarda a venire, ma sperano che un giorno verrà.

Quale futuro vede per il Congo?

Se il Congo riuscisse ad avere dei dirigenti, come per esempio Lumumba, veramente preoccupati del bene della gente, che non si lasciassero corrompere permettendo alle multinazionali e alle grandi potenze di depredare le ricchezze del Paese, certamente il Congo potrebbe diventare il timone dell’Africa.

a cura di Rosalba Rafuzzi